HomeMedia partnership«Dare strumenti e dare sogni». Intervista a Valentina Marini

«Dare strumenti e dare sogni». Intervista a Valentina Marini

foto di Marina Alessi

Si apre sabato 6 ottobre, con Black Trial della Compagnia Susanna Beltrami e Cigno della Compagnia Cie Twain, la stagione Danza 2018/19 del Teatro Biblioteca Quarticciolo curata da Valentina Marini e realizzata con il contributo di ATCL Lazio.
Marini, raggiunta al telefono, ci ha spiegato logica curatoriale, prospettiva e storico del progetto.

Raccontaci qualcosa del criterio di composizione di questa stagione 2018/19.

Intanto, per ragioni obiettive, ci sono sempre, a margine, dei bilanciamenti, degli equilibrismi che devono essere fatti. Il criterio centrale che vorrei evidenziare è la grandezza, la dimensione del pensiero che viene trasmessa dall’azione di questo teatro. Si tratta di un’azione potente, che si oppone a un’abitudine, soprattutto romana, di scivolare in una sorta di “teatro comodo”, che strizza l’occhio al cabaret.
Nonostante tutte le condizioni negative del caso (il quartiere difficile, i limiti logistici e strutturali del teatro e i soliti equilibri di budget) c’è stato il coraggio di “lavorare con risposta contraria”, rilanciando in alto un progetto di cartellone che sia di respiro internazionale, con un’aderenza forte alla scena contemporanea.
Il merito di questo va assegnato a Veronica Cruciani che ha avuto la lungimiranza di affidarsi, per le varie sezioni diverse da quella del teatro di parola, alle consulenze di altrettanti specialisti. Questo pensiero preciso e programmatico ha creato una vera indipendenza nella struttura del calendario, che non vede nella danza o nel teatro ragazzi il “residuale” della prosa.
Rispetto alla scelta dei programmi ci sono due elementi da mettere in luce. Il primo è la relazione con il territorio e con il pubblico: l’ambizione è quella di rivolgersi alla città tutta ma ogni spazio ha, inevitabilmente, come primo riferimento il luogo dove sorge. Il nostro desiderio è parlare alla gente di quartiere, oltre che all’appassionato che attraversa Roma. La strada che abbiamo percorso per trasferire questo al Quarticciolo mi porta al secondo punto: il “comune denominatore” degli spettacoli programmati è la presenza di una drammaturgia chiara e di un forte contenuto. Non ci sono astrattismi e tecnicismi, o comunque non sono il focus. Rispetto allo scorso anno, che ha visto in scena grandi nomi della coreografia italiana, questa stagione è stata costituita con l’idea di alternare gli artisti consolidati con le firme più graffianti della nuova generazione.
I giovani, nella scena contemporanea, stanno lasciano un segno fondamentale. Ma la scelta non è stata “anagrafica” quanto volta ad allargare le maglie, a creare degli accostamenti nuovi.

Quale è la ricezione della danza in un luogo come il Quarticciolo?

La nostra scommessa, in questo senso, è stata quella di non giocare facile, di non puntare a una platea di esperti, a un pubblico già istruito. Quello che è curioso, di uno spazio così raccolto, è che rende possibile riconoscere le persone in sala e creare quasi un rapporto “one to one” con lo spettatore. Naturalmente è stato difficile capire in che modo “imporre” un linguaggio come quello del corpo, privo della parola e soprattutto estraneo. Quando gli spettacoli sono portatori di senso, però, in qualche modo arrivano. Il pubblico deve essere accompagnato ed è molto interessante osservare le reazioni degli spettatori al cospetto di questi umani che utilizzano il corpo in una maniera nuova e non immaginabile.
Questa operazione è una macchina complessa, sorretta dal lavoro coordinato di tanti: l’organizzazione gestita da Giorgio Andriani, le azioni profonde di promozione e comunicazione curate da Antonino Pirillo e tutto il funzionamento amministrato dal comparto dei tecnici. Se poi gli spettacoli hanno un contenuto emotivo e qualcosa da trasferire, la reazione di questo nuovo pubblico intercettato può essere sorprendente.

Per te è il terzo anno alla direzione della stagione della danza. Hai avvertito delle trasformazioni?

Io credo che  alla base dell’azione di chi fa teatro d’arte – nella relazione tra di noi e in quella con il pubblico – debba esserci la fiducia. Gli effetti di questo essere riconosciuti come interlocutori affidabili si raccolgono a medio termine e diventano la base sulla quale si va a costruire nelle stagioni a seguire. Le persone ritornano e chiedono: «Ma la fate la danza quest’anno?». Ecco, in questa domanda si legge l’affezione a un linguaggio nuovo, che è il nostro punto di partenza. Il bacino del territorio è una piccola parte della platea, ma è impagabile la gioia che ti dà vedere uno spettatore “senza background” che applaude in modo convinto qualcosa che forse gli ha aperto un mondo.
Ecco, io credo che questa sia stata un’operazione pionieristica: avendo tutte le condizioni di difficoltà, abbiamo scelto di percorrere la strada più difficile e stiamo raccogliendo risultati straordinari.

La stagione è intitolata Cosa può un teatro (?). Ti giro la domanda…

Può tutto. Può aprire il mondo dell’immaginario, e farti vedere il reale con occhi diversi. Può dare strumenti e dare sogni. Soprattutto in un quartiere così difficile, che vive così tanta sofferenza, un teatro può offrire qualcosa che aiuta a migliorare la qualità della vita. Può e deve.

Redazione

info e programmazione Teatro Biblioteca Quarticciolo

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Nell’architettura di vetro di Williams/Latella

Lo zoo di vetro di Tennessee Williams diretto da Antonio Latella per la produzione greca di di Technichoros e Teatro d’arte Technis. Visto al teatro...