HomeMedia partnership«Nella sensibilità di questi tempi». Intervista ad Alessandra Cristiani

«Nella sensibilità di questi tempi». Intervista ad Alessandra Cristiani

Foto di Chiara Ernandes

Prosegue il nostro ciclo di interviste agli artisti programmati all’interno del cartellone di Todi Off – Futuro Anteriore. In questa conversazione Alessandra Cristiani – in scena il 1 settembre al Teatro Nido dell’Aquila con Clorofilla, a partire dai testi di Marcello Sambati – racconta il proprio percorso di ricerca e il proprio pensiero attorno ad alcune questioni e urgenze della scena contemporanea.

Qualche battuta sul tuo percorso e sul lavoro che presenterai.

Mi sono formata nella via terzoteatrista, nel teatro di strada, poi nel 1996 ho incontrato la danza butoh, che mi ha definitivamente determinata verso una linea performativa e esplorativa della scena, a partire dalla materialità del corpo. Il corpo è inteso, nel mio lavoro, come matrice e come strumento creativo. Alcune scelte espressive, come il nudo, sono derivate proprio dal tentativo di trovare una presenza in scena che proponga una sensibilità all’essere umano, alla sua fragilità e alla sua ferocia.
Clorofilla nasce dai testi di Marcello Sambati, Esitazioni e Tenebre. Li ho riletti con grande afflato: sono versi che fanno vivere un mondo animale, vegetale e umano che ho trovato evocativo e molto creativo. Con Marcello abbiamo fatto un lavoro non tanto letterale di traduzione ma di rilettura, metabolizzazione e rilancio, in una dimensione corporale, del discorso che lui conduce in versi.
Nell’impostazione della scena e nella presenza del corpo abbiamo tentato di rivisitarne una possibilità, di legittimarla nella sensibilità di questi tempi, sia sociale che politica.

Che cosa rappresenta la piazza di Todi Off per il tuo percorso artistico?

Ritengo ogni invito, da parte di ogni festival, un grande privilegio, in quanto la situazione di questi tempi non è così fluida e non sempre esistono molte possibilità di mostrare il proprio lavoro. Ogni tappa artistica, ogni festival, ogni contesto ospitante, dal mio punto di vista, è la sede di un incontro importante e delicato, perché ci si confronta intorno al lavoro nella sua ragione d’essere, uno spazio di vicinanza nella sensibilità e nella visione.

Che cosa pensi delle limitazioni anagrafiche che sempre di più caratterizzano le opportunità di produzione e circuitazione?

Ovviamente, nei bandi under 35 c’è un aspetto molto positivo: quello di aiutare i più giovani nella produzione, oltre che nella creazione dei lavori. Il mio è stato un percorso non canonico, mi sono trovata spesso “fuori” da questi bandi, il mio è sempre stato un vagare in controtempo intorno a queste proposte. Gli under 35 hanno chiaramente un’energia, una vitalità e una visione diverse da chi batte il campo da molto tempo e ha altrettante visioni e una diversa energia, altre esperienze. Il punto su cui riflettere è forse l’esigenza di trovare un’altra maniera di far confluire, senza competizione, queste visioni, di stabilire un dialogo.
Questi bandi sarebbero interessantissimi se non ci si dimenticasse che esiste anche “intorno”: anche gli over 35 vanno ascoltati, cercati e messi in connessione. Mi ha molto colpito, a questo proposito, la mail di invito che ho ricevuto dal direttore artistico Roberto Biselli: nelle sue riflessioni si coglie l’intenzione di seminare un confronto e una compresenza tra le generazioni. Credo che mai come in questo momento storico sia necessario riguardarsi, e riguardare alle proprie pratiche.

Che cosa significa per te il termine OFF? 

Il termine Off ha un grande spessore storico. Credo contenga, come tutte le cose, un volto oscuro, un volto luminoso e tanti altri volti che bisognerebbe cogliere. Convenzionalmente il volto scuro indica qualcosa “al margine”; il volto luminoso indica invece una condizione per cui si ha modo di sviluppare una riflessione sul fare artistico con altri tempi che non sono quelli divoranti del sistema, in una dimensione più larga. Nella storia delle discipline performative sono sempre esistite una linea più visibile, più interna al sistema, e una linea che si coltiva più nei sotterranei, ma credo che un tempo dialogassero molto più intensamente tra di loro. In presenza di questa idea di demarcazione tra un valore imperante e uno meno imperante, ritengo si dovrebbe riflettere sul fatto che l’approccio alla scena porta sempre una crisi del valore.
Citando Roberto Latini, mi sembra di aver letto in qualche suo testo che «il teatro in fondo è sempre ricerca». Forse il termine Off circoscrive qualcosa che non ha bisogno di essere circoscritto.

Una considerazione sulla formula Futuro anteriore, titolo della rassegna.

Molto semplicemente, ti dirò quello che ho pensato quando lo ho letto nella mail di Biselli: l’ho trovato molto bello. Tanti anni fa, il titolo di un altro festival – L’energia dell’errore di Palermo – mi ha colpito allo stesso modo. A volte anche i “nomi” possono fissare un rilancio di questioni che sono sì artistiche ma anche fortemente connesse al sociale, al politico. Al centro di questo progetto sembra esserci un’intuizione molto chiara: ciò che viene sostenuto nel presente è determinato anche da ciò che c’è stato prima.
Verificare questa idea nella praticità di ciò che accadrà è una bellissima sfida. Nel momento in cui avremo il confronto con gli altri artisti e con le persone che verranno a vederci, capiremo se le armi sono state quelle giuste, se questa strategia creativa sta cominciando a seminare piano piano qualcosa.

Redazione

 

 

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