Una selezione di compagnie di danza internazionali sarà presente al festival Fuori Programma al Teatro Vascello di Roma. Da Israele e dall’Olanda, centri nevralgici della danza internazionale, le proposte di Vertigo Dance Company, Hillel Kogan e Dunja Jocic.
Tra le sue particolarità, la danza ha anche quella di esprimere delle vere e proprie geografie precise che non riguardano solamente il modo in cui i corpi dei danzatori si muovono nello spazio della scena. Nel corso della sua storia, infatti, Tersicore sembra aver fatto tappa in maniera più specifica in diverse zone del pianeta, zone dalle quali sono emerse compagnie e proposte che sono il risultato dell’intreccio tra dinamiche “di sistema” e produttive particolarmente favorevoli e l’essenza stessa dei luoghi, con la loro storia. Gli artisti, come creature apolidi, da sempre conducono la propria arte laddove questa ha modo di svilupparsi e di fiorire maggiormente, nella propria terra d’origine oppure altrove. Per queste ragioni, chi ama la danza di certo sa che Olanda e Israele sono in questi anni, per ragioni diverse tra loro, due delle maggiori culle. L’Olanda, nel cuore d’Europa, si situa in quel crocevia fecondo tra la Francia, le Fiandre e la Germania, raccogliendo le istanze creative e le specificità espressive di queste zone nord-europee; Israele, invece, ha visto sviluppare la coreografia a partire dall’influenza che la leggendaria pioniera della danza Martha Graham ebbe sulla nascita di una compagnia come Batsheva Dance Company. Oggi, in entrambi i Paesi dimora l’eccellenza della creazione coreografica, che qui esprime forza, creatività e innovazione.
Nel programma del Festival Fuori Programma la prima proposta internazionale in cartellone è quella di Vertigo Dance Company, compagnia con base in Israele fondata da Noa Wertheim e Adi Sha’al nel 1992. A Roma la compagnia presenterà One, One & One, una creazione che Noa Wertheim descrive come un lavoro sulla «forte connessione con la terra» e sul suo rapporto con la percezione di sé dell’essere umano. La coreografa si è concentrata dunque sul rapporto tra la terra e l’ego umano. Nella coreografia, afferma Noa Wertheim, è presente la ricerca di un finale poetico dove i danzatori «cercano di volare con le proprie mani, come fossero ali, pur sapendo di essere condannati a restare sulla terra, privi della capacità di volare senza limiti». In particolare, la compagnia ha sviluppato negli anni diversi progetti legati alla natura e alla terra: 10 anni fa è stato sviluppato anche un vero e proprio Eco-art village che è oggi il loro centro di creazione. «Molto emotiva, ma ricca di semplicità e dignità», la coreografia presenta un lavoro fisico intenso, che esprime quello stile specifico delle compagnie di danza di provenienza mediorientale. I danzatori, coinvolti nella creazione attraverso l’improvvisazione, sono stati guidati da Wertheim a sviluppare le proprie fisicità e personalità nella danza cui avremo modo di assistere il prossimo 11 luglio, in apertura del festival.
Ancora da Israele giunge la seconda proposta internazionale del festival che andrà in scena al Teatro Vascello il 15 luglio. Hillel Kogan è un coreografo e pedagogo attivo nella creazione coreografica dal 1996. Il suo lavoro, We Love Arabs, è un duetto che vuole offrire una visione leggera, comica, sulla questione del conflitto israelo-palestinese. Come afferma il coreografo «di solito quando l’arte israeliana si occupa del conflitto israelo-palestinese lo fa in un modo molto emotivo, serio e drammatico. È naturale, certamente, affrontare seriamente la questione. Nel mio lavoro offro però una visione comica su questo rapporto delicato, e in particolare sul tema del razzismo e dell’identità etnica». La coreografia vuole essere satira e parodia della serietà del discorso artistico e politico. Uno sguardo comico-satirico, spiega Hillel Kogan, «ci permette di esaminare le questioni con meno emozioni forti, con meno pesantezza e ci offre l’opportunità di ridere di noi stessi». Quando lo spettacolo è stato creato, nel 2013, l’interprete Adi Boutrous era l’unico artista arabo sulla scena israeliana, e lo è ancora oggi, ci racconta. We Love Arabs è nato dall’improvvisazione che combina corpo, testo, voce e scrittura. In particolare, questi sono gli strumenti attraverso cui l’artista osserva i fenomeni politico-sociali che lo circondano.
La proposta di Dunja Jocic, infine, giunge dall’Olanda, terra dove l’artista di origine serba ha fondato la propria compagnia. Don’t Talk to Me in my Sleep è una creazione multidisciplinare che esprime il desiderio dell’artista di coinvolgere diverse discipline nel proprio lavoro – il teatro, il video, la musica, le arti visive – in modo da rinforzare gli aspetti narrativi della danza. Raggiunta da alcune nostre domande, Dunja Jocic ha affermato «io racconto storie. La danza è il mio strumento, ma non il mio punto di partenza. Con i danzatori condivido i miei materiali di movimento e la ricerca che conduco. In seguito, discutiamo e parliamo per una settimana circa per raggiungere quello stato emotivo che ci permette di lavorare. La scrittura coreografica è precisa e richiede ai danzatori alte qualità tecniche e competenze performative come l’uso della voce, la recitazione e… avere una bella anima!». Don’t Speak to Me in my Sleep è una creazione per due interpreti che conducono il pubblico in una scena d’interni: un uomo, che ancora vive con la madre (e un gatto), assiste al trascorrere immobile del tempo in una sequenza di azioni ripetute, abitudini quotidiane e piccole frizioni che conducono i due verso la follia. Ispirato al rapporto tra Andy Warhol e sua madre Julia, lo spettacolo che andrà in scena il 18 luglio indaga quel confine dove i sogni possono essere tramutati in realtà. Che si tratti di conflitti psicologici, questioni socio-politiche o il rapporto con la natura, a muovere Vertigo Dance Company, Hillel Kogan e Dunja Jocic verso Roma sarà certamente un Fuori Programma.
Redazione