Suzanne è la vicenda di un soldato disertore, in crisi di identità dopo la prima guerra mondiale. E uno spettacolo di Tamara Balducci e Linda Gennari. Regia di Cesar Brie al Teatro Argot Studio di Roma. Recensione
La guerra è uno spartiacque, un limite molto simile a quello fisico di un confine mille volte combattuto e cancellato, riemerso come un solco irrigato di sangue; separa territori, separa gli uomini per categorie disumane di razza, religione, appartenenza sociale; ma c’è una trincea meno indagata, un margine apparentemente meno concreto che invece caratterizza il tempo di una guerra in maniera intima, endemica, non meno sanguinosa. Si tratta del residuo psicologico ed emotivo, una ferita nell’identità che rende una psiche irredenta, indebolita nelle più solide certezze del tempo precedente. È in questa dimensione che si situa Suzanne, lavoro che Tamara Balducci e Linda Gennari (con Lorenzo Garozzo) hanno liberamente tratto dal romanzo La garçonne et l’assassin di Fabrice Virgili e Danièle Voldman, presentato per la regia di César Brie nella stagione del Teatro Argot Studio di Roma.
Chissà perché Louise parla nel buio con una piccola luce negli occhi, a un ascolto di tribunale; si dimentica presto mentre una sorta di doppio sogno apre la scena: un tappeto di foglie morte delimita la platea dal palco, ma leggermente al di qua è il soldato Paul, in abiti da combattente, mentre si sporca del sangue, della vita altrui; è inorridito, spaventato, i suoi sentimenti si mescolano al dolore collettivo, ciò che vede non potrà dimenticarlo. Su un altro piano è una donna in abito da sera, sorride accogliente, sapiente; ha una dote di stabilità, ha trovato un centro e sembra mostrarlo a tutti con totale leggerezza. Il loro incontro è tuttavia inevitabile, il doppio si avvicina, si confronta come in uno specchio, si fonde occhi negli occhi nel presagio di un abbraccio suicida.
Ma prima è Louise, torna a casa dove il soldato Paul, in mutande, sta aspettando la sua dose di alcol, per dimenticare, o meglio, per dimenticare di ricordare. È un disertore. È fuggito. E ora, a guerra ancora in corso, non può uscire di casa. È nervoso, aggredisce la moglie, non sopporta la gabbia in cui è costretto. Poi, finalmente, un’idea: se Paul non può uscire, di certo può farlo Suzanne, la donna che non esiste se non negli abiti, nelle movenze, nel gioco ideato dalla coppia per aggirare il divieto. Ma il gioco presto si trasforma, Suzanne esce dal corpo di Paul e se ne impossessa, emerge dilagando nello spazio intimo e in quello sociale: la donna sostituisce l’uomo, prende forma e si introduce nel mondo, ne diventa protagonista. Louise, distrutta, cerca di seguire il marito, prima, l’amica, poi; è destabilizzata, cerca di salvare qualcosa, cerca di recuperare un’umanità che pian piano le sparisce sotto gli occhi; Suzanne è diventata una regina del Bois de Boulogne, locale dubbio e promiscuo in cui conosce e sperimenta il nuovo senso dell’amore, il nuovo corso della propria vita. È una storia vera, quella del soldato disertore Paul. È una storia francese della Prima guerra mondiale. Diviene nota non appena un’amnistia giunge a riabilitare i soldati fuggiti dal fronte. Ma per Paul/Suzanne sarà l’inizio della fine, la crisi di identità ormai espressa in società si cristallizza fino al punto di impazzire, o far impazzire – di dolore rassegnato – Louise, che ne condenserà per tutti l’atto conclusivo.
Il tema del doppio emerge nelle pieghe dello spettacolo con una sinistra e conturbante progressione, sembra qualcosa di inarrestabile e gran merito va a una scrittura sapiente, non a caso immaginata dalle stesse attrici che poi l’avrebbero interpretata: Tamara Balducci è una Suzanne intensa, consapevole dei mezzi del proprio corpo e del segreto inabissato dentro di lei; Linda Gennari è Louise, il trasporto, la dedizione, infine la rassegnazione, passano sul suo viso come segni che allargano con il tempo la propria ruga, l’incisione profonda; Giacomo Ferraù, il soldato Paul, riesce nel compito più difficile di attraversare stadi diversi di una maturazione identitaria, incarnando il dolore di una trasformazione fisica, emotiva, relazionale. È proprio in virtù di tali bravi interpreti, il cui buon dosaggio è dovuto alla mano di César Brie, che Suzanne riesce ad abitare l’ampiezza scenica, assimilare il senso di crisi dei personaggi in una triplice dimensione spaziale, creando attraverso l’atmosfera una scena che poteva pericolosamente virare sul naturalismo più estremo. E invece con pochi elementi – soltanto una spalliera di letto che diventa barriera, o una finestra che diventa specchio dell’identità perduta – la vicenda si inarca fino alla soluzione finale, definendo come non è una situazione a padroneggiare il racconto, ma un sentimento basculante sia nei personaggi che nel pubblico in ascolto.
Simone Nebbia
Teatro Argot Studio, Roma – Aprile 2018
SUZANNE
liberamente tratto da “La garçonne et l’assassin” di Fabrice Virgili e Danièle Voldman
drammaturgia Tamara Balducci, Linda Gennari e Lorenzo Garozzo
regia César Brie
con Tamara Balducci, Giacomo Ferraù e Linda Gennari