Tango Glaciale, storico spettacolo di Falso Movimento, torna in scena in anteprima nazionale al Piccolo Bellini di Napoli dopo trentasei anni dal debutto per la regia di Mario Martone. La recensione
Una serie di gradini che pare interminabile a molti compone la scala arroccata a cui si accede da un lato del foyer del Teatro Bellini di Napoli, su in cima fin nella sala del Piccolo Bellini. Le poltroncine di velluto rosso si affastellano a file degradanti sulla pedana cifrata da lampioni di allure ottocentesco, fra le pareti pullulanti di locandine e copertine di Comoedia, di Sipario, de Il Dramma a ricordare i tratti, i volti, le cronache del primo Novecento teatrale. Prende posto una platea completa ed eterogenea di spettatori in attesa, alcuni più preparati a quanto si aprirà al loro sguardo, altri meno forse, certamente tutti incuriositi seppure per ragioni diverse. In scena fino al 28 gennaio in anteprima nazionale (debutto ufficiale programmato per il prossimo 1 luglio a Ravenna Festival 2018) Tango Glaciale. Lo spettacolo diretto da Mario Martone è uno di quelli che hanno segnato la storia italiana del palcoscenico iscrivendosi in quella “post-avanguardia”, in quel momento di riconsiderazione dei mezzi e dei codici performativi cifrato e identificato sotto la dicitura Nuova Spettacolarità.
È il 1982 quando il regista napoletano e Falso Movimento, gruppo formato (tra gli altri) insieme agli interpreti Andrea Renzi, Licia Maglietta, Tomas Arana, lo portano all’esordio al Teatro Nuovo generando un clamore e un seguito che si confermeranno per anni in giro per l’Italia, l’Europa, il mondo. Per la città partenopea sono gli anni del dopo-terremoto, dei cantieri, dei finanziamenti per le ricostruzioni, per il resto d’Italia sono anche quelli del rigurgito disincantato dei moti studenteschi e degli ideali di sovversione politica, gli anni che introducono alla conversione della televisione commerciale, alla comunicazione allargata a dismisura, ai consumi in crescita, agli yuppies. Il cambiamento estetico e sociale non lascia la scena indenne e partorisce esperienze (Magazzini Criminali, Kripton, Studio Azzurro con Giorgio Barberio Corsetti) che configurano l’uso della tecnologia come una strada di potenziamento e analisi, una declinazione ulteriore delle possibilità del teatro. Il suono, le luci, il video si trovano a re-agire con l’arte della compresenza per antonomasia come si conviene ad una materia in perenne trasformazione, materia del presente dunque, in una sorta di crasi del contrappasso tra antitesi e analogia, materia che si scopre a seconda dei casi amplificata e contraddittoria oppure compressa, per alcuni semplificata, alleggerita ove sottratta al crisma politico imposto da e a molte esperienze dei due decenni precedenti.
Allora come adesso l’articolazione dell’azione scenica di Tango Glaciale si snoda lungo un percorso costruito per quadri come fosse un viaggio figurale dall’esterno all’interno di un’abitazione, dal terrazzo al giardino, dal bagno alla cucina, dalla strada alla piscina; tuttavia pure un viaggio figurato dall’ordinario al fantastico, dal fumetto all’immagine tout court, dalla musica al suono, dal gesto al movimento, dall’energia al corpo, dalla presenza alla proiezione, dal canone alla sua rottura, in flussi continui di andata e ritorno. E se anche la storia è flusso non stupisce che torni alla mente il Richard Wagner de L’opera d’arte dell’avvenire (1849): «Nell’opera d’arte universale dell’avvenire non esiste facoltà delle singole arti che, tratta al massimo potere espressivo, resti inutilizzata, perché solo in essa si giunge alla pienezza dei singoli valori. […] Danza musica e poesia, prese separatamente, sono ognuno limitata a se stessa; se si oppongono ai propri limiti, ognuna si sente schiava, a meno che, giunta agli estremi, non tenda la mano all’altro genere d’arte corrispondente con un amore tutto pieno di riconoscimento, […] Completandosi reciprocamente nel loro giro alternato, le arti sorelle si metteranno in evidenza ora tutte assieme, ora a due a due, ora isolatamente, secondo la necessità dell’azione drammatica che è l’unica legge e misura». Il rock incontra melodie più concilianti, varie gradazioni della scala cromatica coniugano le luci dei fari con le proiezioni al fondo e su un pannello centrale pronto a disvelare un ambiente retrostante che implementa la profondità sia in termini di architettura che in termini di dinamica, una sorta di seconda scatola ottica. Le anatomie dei tre protagonisti – oggi Giulia Odetto, Filippo Porro e Jozef Gjura – si inseriscono nel disegno complessivo quali differenziali in carne ed ossa di una compagine visiva a matrice sintetica, cui si appongono da conduttori, da figuranti se necessario, giocando a tratti su un piano di mimesi solo apparente che ne riverbera, invece, la significazione consistita. Un complesso di elementi in cui l’idea della parola si vuole deficitaria (sarà nei lavori degli anni successivi che Martone tornerà su questo aspetto per riconsiderarlo), scandito piuttosto da un principio ritmico serrato con elementi mutuati dal montaggio cinematografico e dall’intermittenza catodica.
Trentasei anni possono essere un tempo troppo lungo per l’attualità e discretamente breve per l’eternità. Il rischio di operazioni di questo genere è l’effetto naftalina nostalgica per anacronismo dovuto al cambio epocale. Solo a pensarci uno stridore acuto ex abrupto accostato al caso specifico. «È comprensibile che io abbia tentennato molto a lungo prima di dare il via libera a questa ripresa. Nulla può riportare quel fenomeno e quella energia, e bisogna considerare che Tango Glaciale era frutto non solo di un percorso (ebbene sì avevo ventidue anni ma avevo cominciato a diciassette) ma anche di un clima artistico che oggi è lontanissimo, sebbene molte delle sperimentazioni sui palcoscenici del nostro tempo derivino da quel clima. […] Soprattutto mi sembrava interessante mettere il lavoro alla prova di una generazione che era lontana dall’essere concepita nel 1982»: così Martone spiega le ragioni che lo hanno condotto ad accettare il riallestimento curato da Raffaele Di Florio e Anna Redi.
Al di là dello sconvolgimento di un attimo, la continuità non sarà forse una commistione di coscienze ed entusiasmi, di conservazione e rinnovamento, un riflesso incondizionato a cercare, cercare sempre, dietro le spalle e oltre la gittata degli occhi? Forse ha ragione Peter Brook a sostenere che la qualità è reale e ha una fonte destinata a rimanere nascosta oltre i tradimenti, se ancora, alla fine, prima dell’applauso, quasi un quesito, si fa un attimo di silenzio.
Marianna Masselli
In scena fino al 28 gennaio. Piccolo Bellini, Napoli, gennaio 2018
TANGO GLACIALE
progetto, scene e regia Mario Martone
riallestimento a cura di Raffaele Di Florio e Anna Redi
elaborazioni videografiche Alessandro Papa
con Jozef Gjura, Giulia Odetto, Filippo Porro
interventi pittorici / design Lino Fiorito
ambientazioni grafiche / cartoons Daniele Bigliardo
parti cinematografiche / aiuto – regia Angelo Curti, Pasquale Mari
elaborazione della colonna sonora Daghi Rondanini
costumi Ernesto Esposito
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto
riallestimento nell’ambito del Progetto RIC.CI Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni Ottanta/Novanta (Ideazione e direzione artistica Marinella Guatterini)
in coproduzione con Fondazione Ravenna Manifestazioni
con il sostegno di Torinodanza festival | Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
in collaborazione con Amat – Associazione Marchigiana Attività Teatrali / Fondazione Fabbrica Europa per le arti contemporanee/ Fondazione Teatro Comunale di Ferrara /Teatro Pubblico