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Mediatori della notte. Totò e Vicé vanno al cinema

Tratto dall’opera teatrale di Franco Scaldati, Totò e Vicé, Vetrano e Randisi interpretano la versione cinematografica di Umberto De Paola e Marco Battaglia. Recensione

Totò e Vicé film di Umberto De Paola e Marco Battaglia. Con Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Sul testo di Franco Scaldati
Frame dal film

Nell’epoca della visibilità magnificata, di icone che si fanno consumare velocissime, cosa può il cinema, se il suo privilegio d’essere produttore massivo di immagini non è più esclusivo? Probabilmente, dicendo e facendo tutt’altro da ciò che altre immagini fanno e dicono, mostrando altro da ciò che le immagini quotidianamente mostrano. O nascondendo. Ecco allora un film, di Marco Battaglia e Umberto De Paola, che si misura con la notte in tempi di visibilità di massa, con un ritmo sospeso che è il vero tempo degli uomini, che al contrario del “tempo reale” appiattito sulla rapidità, è sempre misto di reale e irreale.

Totò e Vicé inizia con un nero abitato dal suono dei grilli, una striscia di mare alla luce della luna, la cui velatura è in continuo movimento: un film può allora rendere giustizia a notte e mistero, quali dimensioni integranti dell’esistenza non meno della chiarezza. Il cinema è in questo senso medium: conserva fantasmi e intermedia tra le cose, tra reale e irreale, tra vivi e morti. L’idea di questa produzione (di Le Tre Corde di Imola ma alle cui maestranze figurano anche allievi dell’accademia di Belle Arti palermitana), nasce a partire dall’immersione dentro il mondo di Franco Scaldati ad opera dei due attori registi Enzo Vetrano e Stefano Randisi, alla loro quarta prova con i testi del drammaturgo siciliano. Proprio Totò e Vicé era stato il loro primo spettacolo, a cui hanno fatto seguito negli anni Assassina e il recente Ombre folli.

Totò e Vicé film di Umberto De Paola e Marco Battaglia. Con Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Sul testo di Franco Scaldati
frame dal film

In questa nuova dimensione, la cui sceneggiatura (di Giulia Arena e Roberto Selvaggio) rimodula lo spettacolo teatrale dei due palermitani, emerge pienamente lo spirito dei due erranti. Ma cosa fanno queste due figure? Giocano a “buela” (il nascondino), “banniano” sotto una finestra accesa, si chiamano, fanno l’appello dei morti. Si raccontano storie. Camminano. Stanno insieme. La loro è una corrispondenza di gesti, che si riverberano l’uno sull’altro, a rimarcare l’inscindibilità di Totò da Vicé e di Vicé da Totò. Tanto che, anche quando il gioco li porta ad essere rivali («se tu fossi porco e io pulcino, mi mangeresti?») l’unica possibile risultante è la vicinanza, l’abbraccio dopo lo scherzo, perché se è sempre presente il terrore per la solitudine, la loro risposta è sempre immutata. Chi accompagna Totò se non Vicé? Non tanto angelo uno e demone l’altro, bensì ciascuno daimon (nel suo significato etimologico di essere divino) dell’altro.

Totò e Vicé film di Umberto De Paola e Marco Battaglia. Con Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Sul testo di Franco Scaldati
Frame dal film

La parola è condizione imprescindibile, creatrice, «dicono che il mondo lo creò un suono»: allora, nel silenzio delle campagne, della città deserta, si rafforzano le voci di Totò e Vicé; anche quando queste invocano a tacere, «zìttuti», la presenza sonora è incontenibile, al limite rinuncia al linguaggio e diventa suono preverbale, soffiato dalle labbra socchiuse sul sorriso, o suono animalesco. Quello che vivificano è un mondo animato in cui – raccontano – i quadri prendono vita, i treni scompaiono lasciando però i controllori e i passeggeri. È un mondo in cui si può esser morti e vivi allo stesso tempo, perché se si è morti non ci si fa caso. È un mondo in cui la parola è magica perché ha il potere trasformativo: «a Totò non glielo dico che scurò, così si crede orbo e non vede». In questo il film ha il pregio di non cedere alla facile soluzione di restituire la didascalia delle parole, accontentando il bisogno di immagine a discapito dell’immaginazione. Quasi rinunciando all’esibizione a tutti i costi, i gesti rimangono a disegnare quel vuoto che caratterizza il testo di Totò e Vicé tanto nello spettacolo quanto nella sua versione cinematografica.

Eppure, pur essendo il teatro di Scaldati una drammaturgia eminentemente sonora, forse Totò e Vicé erano già cinema, sceneggiatura vivente capace di continua invenzione del mondo, già medium di voci contemporaneamente qui e in un altrove dove le cose, comprese quelle che la logica diurna vorrebbe contraddittorie, sono ancora tutte possibili.

Totò e Vicé film di Umberto De Paola e Marco Battaglia. Con Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Sul testo di Franco Scaldati
Frame dal film

Una stessa immagine, allora, può far coesistere la fuga prospettica di un corridoio di lapidi grigie col caldo delle fiammelle votive. Gli spazi, netti e assoluti come nella pittura metafisica, sono disabitati, immobili (la fotografia è di Arena e di Umberto Denaro): non sappiamo se siano abbandonati o invece vergini. Solo Totò e Vicé, superstiti e pionieri insieme, vi si muovono, continuamente erranti, in una mano la valigia e nell’altra quella del compagno. Ciondolano come Chaplin e Paulette Goddard nel finale di Tempi moderni verso un perenne altrove e ovunque. Nel loro camminare mai uguale che alterna moto e stasi, sono più vivi di ciò che li circonda. Continuano a parlare, e a restare vivi in questo modo. Nel medium film riaffiora infatti improvvisa, come da una vecchia registrazione, la stessa voce di Scaldati, a sua volta medium di Totò e Vicé. Questa voce antica, che sembra come chiamarli, invitarli dentro un teatro (il Garibaldi) vuoto, accanto a un tavolino posto sul palco. Ecco lo spettro dell’autore, con alcuni feticci quali le sue carte da gioco, consumate fino a renderle quasi indistinguibili, la radiolina, i «lamparini».  E la sua macchina da scrivere che pare disposta non come se la scrittura fosse finita, ma come se fosse ancora in corso, ancora viva. È questo il luogo in cui i due possono sedersi e raccontare (a lui e a noi) le loro storie, i loro sogni, così che li possa di nuovo raccogliere sul suo mondo di carta, prima di rimettersi in cammino.

Questa dimensione del peregrinare eterno nel film è amplificata: al montaggio si susseguono spazi diversi, stradine, piazze, chiese della città, e ogni luogo è abitato e reinventato dai due come fosse un palcoscenico, di cui il cinema offre le visioni. La macchina da presa, ora statica a contemplarli in figura intera (come nella condizione di uno spettatore teatrale), ora invece partecipe del loro peregrinare, li accompagna in carrelli che affiancano o precedono, empatica, quasi si volesse con loro.

Totò e Vicé film di Umberto De Paola e Marco Battaglia. Con Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Sul testo di Franco Scaldati
Frame dal film

Essere insieme è essere un po’ medium, vivere nella voce dell’altro e riconoscerla speculare alla propria, farsi ciascuno fantasma dell’altro («io non esisto. Con gli occhi tuoi io vedo. Il mio fiato e il mio sangue sono il tuo»). Come ombre emergono dal mercato mentre dietro di loro si intravede la luce; ma tenendosi per mano, ecco che proprio nel punto in cui i due si legano, fa capolino di lontano la luce di un lampione. È così che funzionano le cose che creano relazioni e mediazioni: i rapporti umani, il cinema, il teatro. E fanno luce. «io accompagno te, e tu accompagni me». Continuando a domandarsi la natura del proprio essere al mondo, azzardano, «forse siamo un semplice segno su un foglio di carta». Ma se quel foglio è il cielo, quello di Palermo ripreso alle loro spalle, Totò e Vicé, è vero, giocano ad esser vivi. Ma dentro quello schermo giocano così bene da lasciare le loro spoglie e così sanno renderle, dunque, vive.

Antonio Capocasale, Viviana Raciti

TOTÒ E VICÉ
film di Marco Battaglia e Umberto De Paola
dall’opera di Franco Scaldati
con Stefano Randisi e Enzo Vetrano
e con la voce di Franco Scaldati
sceneggiatura Costanza Arena e Roberto Selvaggio
fotografia Costanza Arena e Umberto Denaro
produzione Cooperativa Le tre corde
Italia, 2017

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