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L’Odin Teatret nella provincia che diventa Villaggio del Teatro

Il Villaggio del Teatro porta riflessioni e pratiche nel territorio umbro. Ospita in questa occasione l’Odin Teatret di Eugenio Barba e Julia Varley

Foto di Davide Torre

Marsciano è un paese umbro attraversato dai torrenti e incorniciato da una costellazione di piccoli laghi artificiali. Da alcuni anni è – insieme a Monte Castello di Vibio e San Venanzo – uno dei vertici, il principale, di un «piccolo triangolo d’oro del teatro», un territorio nascosto tra le colline umbre dove viene svolta un’azione formativa capillare e pervasiva, a volte guizzante, a volte sotterranea. Il nome sotto il quale questa gamma di attività si raccolgono è Il villaggio del teatro e la parola «villaggio» già suggerisce l’idea di una ritualità collettiva, di una tradizione implicata con l’identità stessa della comunità.
Isola di confine è il laboratorio-teatro diretto da Valerio Apice e Giulia Castellani, attivo in Umbria dal 2007. Anche qui la scelta del nome sembra indicare qualcosa: la sensazione di un territorio liminare e galleggiante, una sorta di piccolo e tenace avamposto nel mezzo dei flussi.
Il villaggio del teatro nasce invece nel 2014 – espandendo l’eredità del festival Finestre, organizzato, dal 2009, in collaborazione con l’Odin Teatret e la Regione Umbria – e si propone come «un percorso di attività continuativa, prima ancora che un progetto».

Lo spazio d’elezione è quello scolastico: l’anno scorso Teatro Laboratorio Isola di Confine ha vinto il bando del MIUR “Promozione del Teatro in classe” e ha avviato un programma di attività laboratoriali che coinvolgono, al momento, più di mille allievi dei vari istituti del circolo didattico di Marsciano. Le modalità di investimento sul territorio non si limitano alla proposta di attività per l’infanzia ma si articolano in un calendario, distribuito nel corso dell’anno, di iniziative, lezioni e convegni, oltre che nella produzione di concerti spettacoli e performance itineranti. L’ultimo lavoro, per la regia di Apice e la drammaturgia di Castellani, è una riscrittura del Don Giovanni, ricollocato originalmente «in soffitta»: è in uno spazio intimo, simile ad un nascondiglio, che Pulcinella – la rilettura e il gioco sulla tradizione sono dichiarati, Apice lavora dal 1997 sulla maschera della Commedia dell’Arte – riflette sulla propria condizione servile e, più in generale, sul rapporto controverso tra originalità e autorità.
Ora questa progettualità ha trovato “una casa”: è stata ristrutturata e inaugurata da pochi giorni la Sala Eduardo De Filippo, a due passi dal Teatro Comunale di Marsciano, uno spazio rifunzionalizzato e aperto a tutti che promette di centralizzare le attività, creando finalmente la sede per una loro restituzione più ordinata.

Foto di Angelo Savelli

Siamo andati a osservare più da vicino, partecipando all’ultima giornata dell’edizione 2017 del Villaggio: domenica 22 ottobre – in chiusura di una quattro giorni fatta di incontri tra operatori provenienti da realtà diverse, piccole conferenze, spettacoli laboratoriali – la scena appartiene a Eugenio Barba e Julia Varley dell’Odin Teatret. È il nono anno che i due artisti raggiungono Marsciano e raccontano per frammenti, a un pubblico locale, la loro vasta esperienza internazionale.
La formula scelta da Varley è quella della “conferenza-spettacolo”: un lungo montaggio di video di repertorio – accompagnato da una narrazione ora aneddotica, ora effusiva – ripercorre i momenti iconici della parabola di Mr. Peanut, il personaggio dalla testa di teschio, archetipico dell’Odin. La riflessione di Varley attorno alla «zona d’ombra dell’attore» si compone con schiettezza intuitiva, aiutata dalle immagini che testimoniano l’operato forte della compagnia di ricerca, la loro idea di un teatro espressivo, rituale, intensamente agito nella sua dimensione festante e comunitaria. A volte è la semplice potenza dell’accaduto, appena ingentilita dalla selezione delle parole pronunciate da Julia con la sua voce dolce e raschiante, a creare una dimensione vibrante e quasi liturgica: «Nei giorni di fuoco del Cile, Mr. Peanut sbriciolava un pane a forma di cuore per nutrire gli uccelli davanti al Palacio de La Moneda». Lo statuto della storia, la forza mitica delle culture – perni dell’immaginario artistico dell’Odin – animano dall’interno il ricordo e il documento, rendendo davvero evanescente e equivoco il confine tra la dimensione della conferenza e quella dello spettacolo. Le luci si abbassano lentamente sul linoleum scuro della sala Eduardo De Filippo, Julia Varley sorride in un angolo nel suo vestito di pizzo bianco, il tempo silenzioso dell’ascolto, appena attraversato da qualche domanda – quanto la cerimonia è implicata con lo spazio nel quale viene svolta? e quanto lo spazio è implicato con la credibilità? – è denso di concentrazione e di gratitudine.

Foto ufficio stampa

Ed è di nuovo il linguaggio dell’immagine ad essere al centro del ragionamento condotto, poco più tardi, da Eugenio Barba in dialogo con Nicola Savarese, autore insieme a Barba de I cinque continenti del teatro. Fatti e leggende della cultura materiale dell’attore, pubblicato pochi mesi fa da Edizioni di Pagina. Nel presentare quest’opera a quattro mani – un manuale di storia delle tecniche attoriali di tutto il mondo, riccamente illustrato – Barba e Savarese denunciano, fin dalle intonazioni dei rispettivi discorsi, prospettive molto diverse: una nostalgia di discente il primo («è il libro sul quale avrei voluto studiare»), un rigore di docente il secondo. L’importanza della comunicazione iconologica nell’esplicazione di un’arte visiva è lo spunto per avventurarsi, ancora, sul terreno delle riflessioni complesse: quanto è alto il rischio di confondere stereotipo e archetipo? La disposizione in sequenza di scoperte “aneddotiche” sull’agire attoriale può aprire uno squarcio di rivelazione? Come misuriamo, con quanto moralismo, la distanza tra il livello della spettacolarità pura e il suo portato di significazione? E di nuovo, tra il pubblico, aleggia un’intensità rapita e un sentimento di confidenza, nello spazio intimo e insolito della piccola sala.

Se, all’impatto, appare sorprendente che il gigantesco lavoro dell’Odin – ormai mezzo secolo di storia artistica intercontinentale – trovi, da anni, nel piccolo villaggio della Media Valle del Tevere una così viva risonanza e un uditorio tanto consapevole e devoto, è altrettanto chiaro che si tratta di un pubblico sollecitato e istruito attraverso le pratiche spettatoriali e laboratoriali. Le attività di Isola di confine hanno, di fatto, trasformato il territorio, segnando il piccolo e semi-sconosciuto quartier generale umbro di un’azione formativa che – dai suoi prestigiosi modelli – scende, rigenerata attraverso la pratica quotidiana, ad alimentare l’auto-riflessione di un nuovo pubblico e di nuove sensibilità. Si avverte, nel buio umido della sera in provincia, un’atmosfera leggera e ispirata e, allo stesso tempo, il fermento silenzioso che la ha generata, con cura operosa e serenità da veterani.

Ilaria Rossini

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Ilaria Rossini
Ilaria Rossini
Ilaria Rossini ha studiato ‘Letteratura italiana e linguistica’ all’Università degli Studi di Perugia e conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Comunicazione della letteratura e della tradizione culturale italiana nel mondo’ all’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi dedicata alla ricezione di Boccaccio nel Rinascimento francese. È giornalista pubblicista e scrive sulle pagine del Messaggero, occupandosi soprattutto di teatro e di musica classica. Lavora come ufficio stampa e nell’organizzazione di eventi culturali, cura una rubrica di recensioni letterarie sul magazine Umbria Noise e suoi testi sono apparsi in pubblicazioni scientifiche e non. Dal gennaio 2017 scrive sulle pagine di Teatro e Critica.

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