Lorenzo Pisano, drammaturgo vincitore del premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli” 2017 con il testo Per il tuo bene. Intervista
«Non è possibile tracciare un identikit del giovane d’oggi, se non dimenticando tutte le mode e tutti i discorsi già fatti. Per tracciare un tale tipo di ritratto “scaveremo nei weekend, nelle sottoccupazioni, nei doppi lavori. Andremo presso i ladri di polli, i giovani artisti incantati, scenderemo sulle strade provinciali e comunali, incontreremo finalmente una marea di giovani improduttivi e selvatici, incazzati e morbidi, ubriaconi e struggenti”, ragazzi di cui i giornali non s’occupano, che le trasmissioni non fanno parlare, le firme non intervistano. Questi sono per me i giovani. Questi i ragazzi che danno speranza. Queste sono le novità». Nel 1985 Pier Vittorio Tondelli creava sul mensile Linus il progetto Under 25, invito rivolto ai giovani a raccontarsi e a sviluppare la propria creatività letteraria. Decidiamo così, ispirati da Tondelli al quale dal 1999 è intitolato il riconoscimento come miglior autore under-30 del premio Riccione per il teatro, di incontrare Pier Lorenzo Pisano, ultimo giovane autore ad aggiudicarsi il riconoscimento biennale dopo nomi tra i quali Fausto Paravidino (1999), Davide Enia (2003), Stefano Massini (2005), Mimmo Borrelli (2007), Emanuele Aldrovandi (2013).
Lorenzo Pisano lo conosco per la prima volta nel 2005 nella redazione di Zenit, progetto di formazione critica in quello che era il Festival Orizzonti, durante il quale emerge da subito la volontà di declinare la scrittura su diversi fronti; versatilità confermata poi dalla sua biografia. Nato a Napoli nel 1991 – proprio l’anno della scomparsa di Tondelli ndr – laureato in Conservazione dei Beni Culturali a Venezia, lì segue corsi di recitazione per poi passare alla regia entrando nel 2015 al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Da sempre, soprattutto, scrive e intanto vince il premio Hystrio-scritture di scena 2016, ed è finalista del premio Franco Solinas 2017. Lo incontro nel quartiere Appio Latino di Roma, che condivido con lui, davanti a qualche birra anche se lontano dall’immaginario “ubriacone e struggente” che disegnava Tondelli.
Quando e come ti sei avvicinato alla scrittura del testo teatrale?
Ho iniziato prima di tutto a conoscere Il teatro, a Venezia. Frequentavo una scuola, l’Accademia Teatrale Veneta, ma la cosa migliore fu la convenzione che aveva questa scuola che ci permetteva di entrare in tutti i teatri a 2,50 euro, e così sono riuscito a vedere tantissimo teatro. Da attore in formazione mi piaceva soprattutto seguire gli attori, a teatro come al cinema; ad esempio mi piace molto Vincent Gallo, è completo, scrive, dirige, recita. Poi ho iniziato a partecipare ai bandi per mettermi alla prova, per avere una scadenza e quindi dover scrivere; sono andati bene, così ho continuato.
Un’esperienza di visione che ricordi e che pensi possa in qualche modo averti influenzato?
La cosa più bella che ho visto a teatro è stata il Riccardo III con Mark Rylance a Londra. Per il resto ho visto tante cose belle nei saggi delle accademie, vado a vederne molti. Mi attraggono le tematiche famigliari, Tumore di Lucia Calamaro, Tom à la ferme, che prima di essere film è un’opera teatrale di Michel Marc Bouchard, o Osage Country basato sulla pièce teatrale di Tracy Letts.
Perché il tema della famiglia è così ricorrente nei tuoi testi?
Perché è inevitabile che tu ci faccia i conti, è un qualcosa che ti tocca per forza. Qualunque rapporto famigliare mi attiva moltissimo nella scrittura, e penso trascini anche chi legge o ascolta, perché parla di dinamiche incise dentro. Se scrivo un dialogo tra due amici, e intanto immagino che siano due fratelli, riesco a tirar fuori qualcosa di più caldo. Per ora penso che la famiglia sia una cosa della quale voglio parlare.
Hai approfondito la scrittura con Michele Santeramo, Stefano Massini e Mark Ravenhill. Qual è il ruolo della formazione per un autore?
Credo che le scuole siano utili per inserirti in alcuni circuiti. Per il resto, che sia dentro o fuori una scuola, sono importanti gli incontri che fai con chi è davvero bravo e riesce a dirti poche cose ma che ti restano. Per esempio Santeramo mi ha detto due cose che ricordo; lui fa la prima stesura e poi non cancella niente, cioè la rivede e l’aggiusta sempre, non taglia quasi mai; se tu hai scritto qualcosa in prima stesura, quando eri libero, ci sarà un motivo, serve poi un lavoro certosino sulle battute finché il tutto non ha senso. A volte per tagliare, per stare meglio, perdi delle possibilità. Anche l’incontro con Severgnini è stato fondamentale, l’ho incontrato a Venezia quando facevo l’Università; da lui ho appreso che tra le prime cose che scrivi c’è sempre una prima mezza pagina che va buttata; ciò che tu vuoi scrivere davvero viene dopo.
Il tuo primo testo, Fratelli, vincitore del premio Hystrio-scritture di scena 2016 si presenta con una struttura prevalentemente narrativa; Per il tuo bene anche affida tantissimo l’incedere alla parola detta.
Per ora ho cercato di scrivere dei testi che stessero in piedi da soli, con una loro struttura e dialoghi; non credo di dover inserire ora le azioni; i testi hanno una storia dietro e a livello di scrittura non ho sentito il bisogno di scene d’azione o didascalie complesse, nel momento della messinscena entrerà poi questo livello. Per quanto riguarda la scrittura, è narrativa si, ma complessa; potresti leggere il testo come un romanzo breve, ma allo stesso tempo il testo si affida a una parola molto orale, periodi lunghissimi, ripetizioni, è più come se uno pensasse ad alta voce; da quel punto di vista si perde totalmente la parte narrativa.
Quali città e quali immaginari porti nei tuoi testi?
Un misto di Venezia, Roma e Napoli, le tre città che conosco davvero. Le panoramiche veneziane sono della mia prima età adulta, le situazioni romane sono assimilabili a quella che rappresenta il mio tentativo di emancipazione, e in fine c’è la Napoli primordiale.
Segli un pezzo del testo Per il tuo bene che vorresti farmi leggere ora.
Il pezzo più breve che mi viene in mente è questo, è la madre che parla al padre (foto a destra). Parla dell’’impotenza di questa madre, io invece mi sento a un passaggio ancora precedente, al “chissà se potrò sceglierla una strada”.
Qual è la direzione che hai? E quale pensi sia la parte più difficile del tuo lavoro?
Una è legata al premio Solinas, provare a fare un lungometraggio. A teatro provare a mettere in scena questo testo, e rispetto alla drammaturgia continuare a scrivere. A lavorare in senso vero e proprio non ho ancora iniziato, ma secondo in me, in prospettiva, una volta iniziato la parte più difficile sarà continuare a lavorare. Per questo, vincere un premio buono ti aiuta perché ti dà altre possibilità per continuare a esprimerti.
Luca Lòtano