Quasi Grazia è lo spettacolo con Michela Murgia scritto da Marcello Fois, diretto da Veronica Cruciani e prodotto da Sardegna Teatro. Il debutto a Nuoro e la tournée italiana. Recensione.
Dal continente verso l’isola, la Barbagia è l’approdo, nello specifico il nuorese. Ricordi scolastici di quella «umanità dolente, primitiva, malfatata e gettata» affiorano distrattamente: le strade curvano, i rilievi si fanno brulli e rossicci, la vegetazione sostituisce i palazzi lasciati ormai dall’altra parte del mare. «Da alcuni di questi vecchi ho appreso verità e cognizioni che nessun libro mi ha rivelato, più limpide e consolanti»; conforto che Grazia Deledda avrà trovato nello scrivere di quel mondo sardo incontaminato, in cui bene e male, fede e superstizione costituivano il timbro di una voce autoriale levatasi alta nel panorama della critica letteraria fino ad ottenere nel 1926 il Premio Nobel per la letteratura.
Ancora oggi un unicum storico: la scrittrice, originaria di Nuoro ed emigrata a Roma agli albori del Novecento, resta tuttora l’unica donna italiana ad aver ricevuto un simile riconoscimento. Ancora oggi, avere a che fare con questa eredità storico-critica significa entrare in relazione con uno specifico: «La mia idea, direi la mia ossessione, era che di questa donna, tanto importante per la cultura letteraria del nostro Paese, bisognasse rappresentare la carne». L’intento dello scrittore Marcello Fois è stato quello di consegnare il suo testo Quasi Grazia (Einaudi 2016) – che fa riferimento a Cosima quasi Grazia, ultima opera autobiografica e incompiuta di Deledda – nelle mani della regista romana Veronica Cruciani e nel corpo della scrittrice Michela Murgia. Lo spettacolo omonimo, prodotto da Sardegna Teatro, dopo il debutto al Teatro Eliseo di Nuoro, giungerà stasera al Teatro Massimo di Cagliari per poi proseguire la tournée in altre piazze italiane. La prima volta di Murgia sul palcoscenico non è casuale, come ci racconta lei stessa in macchina mentre dall’aeroporto di Olbia percorriamo in discesa la statale verso il nuorese: «Il teatro non fa per me, mi fa sentire troppo vulnerabile, se ho accettato è perché questa è un’occasione particolare. Dire “no” a un simile ruolo avrebbe significato rifiutare qualcosa che mi appartiene, alla quale mi sento profondamente legata». Aspetto già anticipatoci dalle note di regia in cui Cruciani afferma: «sarda, scrittrice e attivista per i diritti delle donne, era ideale per generare un effetto doppelgänger, in cui la sua figura di donna contemporanea e quella della ragazza sarda del ‘900 si richiamassero».
Nel teatro gremito di Nuoro, sold out anche durante le due repliche straordinarie, la scena accoglie il prologo di contesto in cui, nell’alternarsi di quinte semoventi in parallelo e mosse anche dal fondo verso il proscenio, si svelano simboli etnografici sardi quali il cinghiale e la maschera di Su Componidori appartenente alla giostra della Sartiglia, accompagnati musicalmente dall’antico canto a tenore, fuso insieme a incursioni elettroniche elaborate dalla drammaturgia sonora di Francesco Medda Arrogalla. La scenografia di Barbara Bessi è ancora una volta una scatola della mente che rende la dimensione voluta da Cruciani, pochi elementi scenici ad alternarsi nei tre quadri: padelle e piatti di rame appesi, poltrone e divani, un baule. Loic François Hamelin illumina i tagli bruschi e le delicate morbidezze del racconto drammaturgico articolato seguendo la struttura del romanzo, i cui tre capitoli diventano i rispettivi tre atti: il primo ambientato a Nuoro la mattina in cui Grazia decide di partire, il secondo a Stoccolma alla vigilia della consegna del Premio Nobel, e l’ultimo a Roma, nel giorno in cui, imperturbabile, Deledda scoprirà di avere poca aspettativa di vita a causa della diagnosi di un tumore al seno. Altro, e non ultimo, elemento determinante è il rispetto filologico per il bilinguismo dialetto sardo/lingua italiana. In alcuni momenti, soprattutto all’inizio quando è più forte la dimensione casalinga che precede la partenza di Deledda, l’uso del dialetto rende incomprensibili alcuni dialoghi contestualizzando tuttavia il carattere autentico dell’intraducibilità. Grazia Deledda più volte ha dichiarato di non possedere «il dono della buona lingua» e di scrivere male in italiano, come se l’espressione più intima, e quindi carnale, dovesse parlare necessariamente con le parole del dialetto. Attraverso una drammaturgia incentrata sulla vita e sul pensiero della scrittrice, gli attori tutti dimostrano di aver svolto un lungo e costante lavoro di stratificazione della scrittura scenica elaborato durante le prove attraverso la lettura delle opere dell’autrice, utile come completamento del gesto, memore degli impulsi e delle suggestioni forniti dai testi. Attitudine nella quale riconosciamo il metodo con cui Cruciani crea quell’indispensabile sintesi relazionale tra gli interpreti. Il risultato è un gruppo coeso nel quale si distingue prima fra tutti per la sua severa ruvidezza Lia Careddu nei panni della madre, a restituirne l’animo nodoso, come sono le mani rigate dal lavoro e dal sacrificio. Marco Brinzi e Valentino Mannias – il primo nei panni del marito (Palmiro Madesani) il secondo in quelli duplici del fratello Andrea e poi del giornalista svedese – fanno da contraltare alle figure solide delle due donne presentandosi come altrettanti punti di riferimento nella vita della scrittrice. Il marito innamorato estimatore di Deledda è convinto di consacrare cura e amore all’attività della moglie, nella carezza dolce ma ferma, come anche nella paura della malattia e quindi della perdita, scandita a chiare lettere con l’aggressività di chi, ferito, soffre e poi attacca con celata amorevolezza. Il fratello invece porterà sulle spalle il peso della morte del padre, nella rabbia silenziosa di uno sguardo, nella posa immobile di un respiro trattenuto per il dolore.
Da non attrice Murgia prende parte all’organicità dell’ensemble attraverso una sua personale motivazione e una spinta, che non pertengono ovviamente al mestiere attorale ma che si servono della sua esperienza di scrittrice come strumento di analisi, apprendimento e infine come sensibile e partecipata testimonianza. Attraverso il blog quasigrazia.wordpress.com, Murgia racconta tanto il processo delle prove, il training, le sue insicurezze quanto le emozioni della prima, con il dichiarato intento di far sopravvivere, trasmettendola attraverso il supporto della scrittura, l’esperienza teatrale. «Non mi appartiene il teatro perché è atto viscerale ma che non permane. Io ho bisogno che il mio atto creativo possa essere consegnato a qualcuno, che possa quindi restare al posto mio».
Se nell’ambizione produttiva di Sardegna Teatro risiede la volontà di “comunicarsi” alla dimensione regionale, poi nazionale, fino a giungere a quella internazionale, con Quasi Grazia Massimo Mancini si gioca con audacia da una parte la carta della restituzione teatrale di un modello culturale di riferimento nel racconto della vita e della personalità di Deledda; dall’altra tuttavia corre il rischio di rimanere comunque confinato in una sottile autoreferenzialità. Assistere al debutto a Nuoro dà infatti la misura di quanto questo spettacolo, nella positiva risposta del pubblico che ha riempito totalmente il teatro per quattro serate, trovi nel territorio di appartenenza un forte sentimento di complicità. Gli spettatori partecipano, ridono o si commuovono perché si rispecchiano, sia nel pregio che nel difetto, in quel discorso socio-antropologico relativo al rapporto cambiamento/accettazione col quale da sempre “gli abitanti dell’isola” si confrontano. «Grazia viene dal centro del mondo» è la battuta che ha suscitato l’ilarità generale della sala, sottolineando quanto certi specifici culturali e di pensiero restano radicati anche e soprattutto nelle loro legittime contraddizioni. Immaginando la futura tournée, ci si auspica che la mancanza di un maggiore affondo politico non confini lo spettacolo in un esotico e chiuso etnocentrismo, dovuto purtroppo a una regia e a una drammaturgia che si proteggono nel loro aspetto più “didattico” e si arrestano alla summa del pensiero e immaginario deleddiano, senza immergersi però nell’eredità contemporanea.
Lucia Medri
Teatro Eliseo, Nuoro – settembre 2017
QUASI GRAZIA
di Marcello Fois
con Michela Murgia nel ruolo di Grazia Deledda
e Lia Careddu, Valentino Mannias, Marco Brinzi
regia Veronica Cruciani
assistenza alla regia Lorenzo Terenzi
scene e costumi Barbara Bessi
assistenza scene e costumi Laura Fantuzzo
drammaturgia sonora Francesco Medda – Arrogalla
produzione Sardegna Teatro