HomeArticoliDana Michel. La performance è un piatto che va servito freddo

Dana Michel. La performance è un piatto che va servito freddo

Yellow Towel è un lavoro di Dana Michel del 2013. Lo abbiamo visto a Santarcangelo Festival 2017. Recensione

Foto DIANE | ilariascarpa|lucatelleschi Diàne

Una donna entra da sinistra, da una breccia tra i teli bianchi, si muove lentamente o per spasmi. Veste una tuta nera con un cappuccio e un cappellino, ha scarpe bianche e mugugna qualcosa, si intravedono lunghi dread. Il nero della pelle e della tuta si oppone al bianco sterile della scena. Dana Michel si sposta con circospezione, pochissime frasi e un lavoro sul corpo che punta alla trasformazione minimale: si spoglierà poi della tuta per rimanere con una calzamaglia gialla che richiama il titolo della performance, Yellow Towel (2013).

L’artista canadese è stata premiata nel 2017 alla Biennale di Venezia con il Leone D’Argento per la danza. Nelle note di accompagnamento del lavoro, presentato al lavatoio di Santarcangelo, si parla di «performance che scava negli stereotipi della cultura nera». Di tali stereotipi rimangono solo i vestiti, lo slang rotondo fatto di piccole parole a raffica, movimenti che sintetizzano un’attitudine black, un approccio ostentatamente urbano; il gesticolare preciso che insieme alla postura sposta il baricentro verso il basso; un’ombra di break dance che, invece di infrangersi sui classici ritmi spezzati, qui fluidifica postura e spostamenti.

Foto DIANE | ilariascarpa|lucatelleschi Diàne

Ci sono almeno tre elementi evidenti e costanti nella performance dell’artista canadese: il tempo, talvolta dilatato fino a esasperare lo spettatore; il rapporto con oggetti e cibo è più che carnale, ha una densità erotica, Michel mangia, si sporca con creme bianche, si getta il latte sul volto, emette fonemi mentre mastica una banana, sale a cavalcioni su un tavolo, pettina una parrucca bionda che diventa poi il suo pon pon, suona una tromba che teneva nascosta nella tuta nera; il terzo elemento connotante è la chiusura rispetto al pubblico. Questo è un punto centrale: spesso accade che la performer quasi si nasconda oppure si focalizzi su azioni lunghissime apparentemente senza senso drammaturgico o semplicemente comunicativo. Qui risiede il problema principale di Yellow Towel: ci siamo trovati di fronte a un lavoro performativo che non ha un andamento emozionale riconoscibile come un qualunque evento spettacolare, la catena degli eventi sembra essere regolata dalle leggi dello happening più che da quelle drammatiche. Un percorso comune anche ad altri suoi lavori come Mercurial George, dove per minuti interi combatte a terra con una sorta di sacco nero. Personalità libera e anticonformista, con un passato negli sport agonistici, ospitata nei festival del Vecchio e Nuovo Continente e ora artista residente al Dancemakers di Montreal, si parla di lei come di un’esploratrice dell’identità che mescola codici diversi, dalla performance alla coreografia, all’improvvisazione fisica e vocale.

Foto DIANE | ilariascarpa|lucatelleschi Diàne

Il pubblico però non ha l’opportunità di organizzare la propria visione come se fosse di fronte a una performance presentata in una galleria, qui non c’è la possibilità di spostarsi, di avvicinarsi e gestire insomma il tempo della fruizione. La fruizione appunto teatralmente è la più classica che si poteva scegliere, ma in Yellow Towel Michel sembra voler fare a meno anche di quell’irrinunciabile postulato che prevede una relazione viva con gli astanti. In platea siedono persone in carne e ossa, con questa attitudine anche i momenti più interessanti si fissano con difficoltà nella mente dello spettatore la cui percezione ha a che fare con una scansione orizzontale degli eventi, perché gli elementi si posizionano sullo stesso livello. Il messaggio non potrebbe essere più semplice e diretto: osservatemi, mi muovo come se voi non ci foste, mi trasformo di fronte a voi, non ho paura a mostrarmi, ma non chiedetemi un’emozione. Non l’avrete mai.


Andrea Pocosgnich

Santarcangelo Festival 2017, 14 luglio

Yellow Towel
CHOREOGRAPHY, PERFORMANCE, SET AND COSTUME DESIGN BY Dana Michel
LIGHTING DESIGN BY Karine Gauthier
ARTISTIC ADVISORS Ivo Dimchev + Peter James + Mathieu Léger + Antonija Livingstone + Manolis Tsipos
SOUND CONSULTANT David Drury
VIDEOGRAPHY Dorian Nuskind-Oder
PHOTOGRAPHY Maxyme G. Delisle and Maya Fuhr
EXECUTIVE PRODUCER Marie-Andrée Gougeon for Daniel Léveillé danse
PRODUCTION ASSISTANTS Heidi Louis + Chad Dembski
COPRODUCTION Festival TransAmériques + Studio 303
CREATIVE RESIDENCIES Compagnie Marie Chouinard + MAI + Le Chien Perdu (Brussels) + Usine C + Circuit-Est centre chorégraphique + Studio 303 + Agora de la Danse
WITH THE SUPPORT OF Conseil des Arts et des Lettres de Quebec + Canada Council for the Arts + Cirque du Soleil Cultural Action program + MAI
ADMINISTRATIVE SUPPORT Daniel Léveillé danse company (Montréal, QC) as part of its touring sponsorship project
Premiered at Festival TransAmériques, May 24, 2013

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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