A Primavera dei Teatri 2017 I Sacchi di Sabbia presentano Franco Stone. Una storia vera. Recensione
«Voglio esser giacobino / l’universo è un gran casino / ma io a capo ne verrò!» Cantano così i Gatti Mézzi, duo di musicisti molto popolari in Toscana e parte integrante (assieme al fumettista Gipi e il pittore Guido Bartoli) di Franco Stone. Una storia vera, spettacolo che I Sacchi di Sabbia hanno presentato in prima nazionale all’appena conclusa Primavera dei Teatri 2017. Un gran gioioso casino è questo spettacolo, in grado di trascinare la platea stracolma del Teatro Vittoria di Castrovillari; una platea piena e variegata, tra operatori, tanti bambini, anziani, gente di mezza età; molti ne continuano a canticchiare i motivetti prima di entrare allo spettacolo successivo, trascinati da quel finale ad libitum che sembra non volerci mollare.
Partiamo innanzi tutto da qua, da quest’atmosfera festosa e aggregante che non diamo per scontata e che appartiene in tutto al festival ormai maggiorenne, creato diciotto anni fa da Scena Verticale, e che ora anima il Protoconvento Francescano dove risiede il Teatro Sybaris, il Teatro Vittoria (che dopo una chiusura epocale vede questa prima parentesi di riapertura sostenuta dalla compagnia di La Ruina – De Luca – Pisano), la Sala Consiliare per gli spettacoli, una libreria per ragazzi dove ogni giorno si fa teatro di carta e il Castello Aragonese, quest’anno un po’ meno esposto, spazio di laboratorio. Dietro e dentro i luoghi, le persone: la loro accoglienza, la curiosità con la quale setacciare senso e dissenso, quell’attitudine in grado di permettere che attorno a un festival si possa creare non solo una comunità in cui ritrovarci noi teatranti, ma nella quale si possa rispecchiare la cittadina, curiosa e disponibile anch’essa; quella che, passando dal mercato non si fa problemi a regalarti un po’ di frutta.
Torniamo ai teatranti, ai Sacchi di Sabbia, ai «ripetenti assidui del festival» che, ancora una volta, scelgono di visitare con un taglio ironico e divertito le «stupidaggini che hanno animato la nostra infanzia». Dopo Sandokan, dopo i moschettieri radiofonici, dopo i suicidi poetici indagati tra Billy The Kid e Cappuccetto Rosso, questa volta tocca a Frankenstein e alla sua autrice Mary Shelley. Nella città della torre pendente circola la leggenda di un medico, Franco Pietra, che pare abbia avuto in cura Shelley. Nel suo nome aleggia la risonanza con l’eroe gotico, dato che tradotto letteralmente in inglese diventerebbe Frank Stone, in tedesco niente meno che Franken Stein. Essendo nota la permanenza della scrittrice nella città di Pisa, il gruppo tosco-campano si trova a indagare gli archivi della famiglia degli Agostini Veronesi della Seta, e scopre una fauna di storie, “vere” ma dall’aria improbabile, che presumibilmente potrebbero aver dato più di uno spunto per la creazione del Moderno Prometeo.
Ecco le premesse di quest’opera confusionaria e vitale, costruita per quadri che scivolano l’uno dentro l’altro e che giocano con i monemi dell’horror, conditi da riferimenti storici della Pisa di fine Settecento: la smania di progresso illuminista e gli Illuminati, la lotta tra giacobini e napoleonici, gli esperimenti parascientifici, il mesmerismo e i trucchi da fiere degli orrori; scienziati pazzi, falsi morti con la fronte tratteggiata e gemelline con abiti da scheletro in bilico tra ingenuità e furbizia; spicca l’automa in sedia a rotelle, viso di legno e un braccio vero, posticcio come solo potrebbe essere un pupazzo dove quel che è artefatto si dichiara essere vivo. Un parallelepipedo che è lapide e banco di lavoro campeggia sulla scena abitata da un lato dai musicisti, dall’altro dagli attori e sul fondale dalle proiezioni a tema create da Bartoli e Gipi. In alto, nella balconata anch’essa piena, si trova un “Dio – intervistatore” d’eccezione: Dario De Luca, chiamato a interrogare con aria bonaria e incredula (quasi il Dio chiacchierone del Don Camillo televisivo – un altro archetipo infantile) i vari personaggi che si avvicendano sulla scena. Su tutto si innesta un’ampia gamma di stili musicali, recitativi, canzoni a piena voce con accompagnamento di organo elettrico, passaggi di piano in staccato, chitarre ed effetti vocali che replicano il delay, andando a evocare o a ricostruire anche sul piano sonoro un universo nel quale giocare e far giocare lo spettatore con i propri tormenti musicali.
È vero, quest’abbondanza di segni rischia la ridondanza, e nella seconda parte (quando si prova a indagare drammaturgicamente chi possa essere il fantomatico dottore attraverso tre possibili figure) lo spettacolo sembra allentare quel ritmo che invece ci aveva prima afferrato con vigore. «Mary Shelley ha un incubo ricorrente e ne parla al suo dottore / è un oscuro desiderio / è l’aria d’aprile», non serve molto per divertirci o incutere terrore; chi sia davvero Franco Stone è davvero così importante, o basta raccontare qualche storia e lasciarci nel timore?
Viviana Raciti
Visto a Castrovillari, Primavera dei Teatri – giugno 2017
FRANCO STONE – una storia vera
I SACCHI DI SABBIA/I GATTI MÈZZI/GUIDO BARTOLI /GIPI
con Francesco Bottai, Gabriele Carli, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri, Enzo Illiano, Tommaso Novi, Rosa Maria Rizzi, Giulia Solano
video fondali Guido Bartoli
video contributo Gipi
costumi Guido Bartoli e Giulia Gallo
intervistatore Dario De Luca
una produzione Internet Festival/I Sacchi di Sabbia / in co-produzione con Armunia
in collaborazione con la Fondazione Teatro di Pisa e con il sostegno della Regione Toscana