Sui contorni del teatro di Roma, quello delle borgate, dove lasciano che l’erba cresca, è caduta la luce delle otto di sera all’India. Centinaia di passi sul pavimento dell’arena esterna, è il giorno dell’inaugurazione di Dominio Pubblico_la Città agli Under 25 che durerà fino al 4 giugno. Come poter spiegare agli occhi di dover abituarsi a scostare tutti visi sbarbati, che non potranno distrarsi sui più anziani, che è tutto un fermento di pelli giovani come accadrebbe nel corridoio di una scuola e come dire alla cronaca che è in un teatro che c’è la rivoluzione?
La rivoluzione è facile se sai come farla è uno spettacolo scritto da Daniele Relli per la regia e interpretazione di Nicola Borghesi con Lodo Guenzi e Paola Aiello e si è chiuso in applausi da poco. Con gli ultimi tre, sediamo di spalle al palco, ci raccogliamo in cerchio per non fare uscire le parole e finiamo le bottiglie di birra a disposizione. Intervista.
Presentatevi.
Borghesi Io mi chiamo Nicola Borghesi e ho trent’anni. Faccio il regista e, come dice Brook, aspetto che qualcuno ci creda.
Mi occupo della direzione artistica del Festival 20/30, un festival di compagnie giovani che fanno cose per i giovani ed è frequentato da giovani. Faccio anche l’attore e mi occupo di tenere le fila di Kepler-452 che è la compagnia che ho creato nella solitudine di un mese. Poi è arrivata Paola, poi è arrivato Lodo e un sacco di altra gente a interromperla.
Facciamo un teatro che si sta allontanando dal teatro fatto così come l’abbiam visto oggi e ci stiamo avvicinando a forme di teatro partecipato. Prendiamo delle persone che non desiderano andare in scena e le portiamo in scena cercando di magnificarne l’identità, di strapparle al piccolo del quotidiano e restituirle a quello a cui appartengono. Che è la meraviglia.
Guenzi Ciao, io sono Lodo e sono stato scritturato per questo spettacolo ma sono anche il vicepresidente della compagnia, il che vuol dire che quando dovevamo andare dal commercialista io ho firmato.
Nient’altro?
Guenzi Suono in una band.
[ridiamo, perché verità e semplicità fanno ridere]
Aiello Io sono la giovane più vecchia, ho 35 anni.
Conta?
Aiello Solo per un certo periodo in cui ho pensato che avesse a che vedere con l’essere una scappata di casa femmina e invece no, non conta.
Conta che mi sia sempre piaciuto fare teatro e che abbia sempre sofferto molto tutto quanto avesse un’aurea performativa, conta che ci sia voluto molto tempo per sgravarmi da questa ansia e l’unico modo è stato mettere il cuore dove stava bene. Qui sta bene.
Dall’etimologia latina “rivoluzione” [re-volvo] vorrebbe dire “tornare indietro”. La rivoluzione è nostalgia dell’irreversibile?
Borghesi Guardiamo indietro perché indietro c’è la nostra identità e molto di ciò che è stato evocato e poi non è accaduto. E guardiamo indietro perché tutto ciò che è dietro è ciò che ci tiene nell’essere dove siamo. Nel teatro, indietro è un bagaglio di idee che guardano a esperienze passate non compiute e che non compiendosi hanno lasciato dei buchi.
La rivoluzione è facile se sai come farla è uno spettacolo che parla all’immaginazione con il beneficio della possibilità.
Quindi la rivoluzione è delle idee? In teatro e in musica si fa rivoluzione nella consapevolezza del pubblico o nella realtà di un movimento concreto?
Borghesi Il mio non è stato un percorso di militanza politica, fatico ad affiliarmi a degli schieramenti. Credo, però, che ci sia una forma di desiderio politico nel far uscire di casa le persone. Qual è il teatro che non è politico? Quello fermo che ci lascia stare fermi. L’idea è quella di afferrare per il bavero le persone che stanno disertando le sale e riportarcele, quindi nella possibilità di raccogliersi in assemblea purché sia un agorà teatrale. Per risponderti, il mio impegno per quella piccola fetta di realtà nella quale abbiamo la capacità di incidere è un gesto che ha delle conseguenze ed è la rivoluzione.
Quando dicono che è uno spettacolo disperato io tendo a ribadire di leggerlo non solo nella cornice dello spettacolo ma in quella dell’operazione.
Aiello Ciò che la rivoluzione vuole ribaltare non è certamente il teatro colto. Sono gli aperitivi. Uscire potrebbe significare raccontarsi una storia facendosela raccontare. L’immaginazione crea le condizioni per il nuovo, quindi.
Perché sotto al palco della musica capita che ci siano mille anime in più rispetto a quello del teatro?
Guenzi Ha a che vedere con la voglia di isolarsi nei salottini d’avorio di quelli che si occupano di fare il teatro come lo stanno facendo, che non ha niente a che fare con l’isolazionismo vero.
Quando ho finito l’Accademia d’Arte Drammatica sono stato catapultato nel più classico dei teatri stabili italiani, il Goldoni di Venezia, dove sottopagato tenevo uno spettacolo di una bruttezza epocale, e per ogni parola mi accorgevo che non stavo parlando a nessuno. Nessuna urgenza, ma solo il meccanismo appartenente a quella intellighenzia che gode nel sofisticare su cose che non si capiscono, perché le immagini sono tutte sospese lontane senza alcun correlato oggettivo con il reale. Nessuno aveva voglia di parlare alle persone.
Il loro teatro è l’immagine di due persone a letto insieme e di una delle due che finisce masturbandosi a dire che è stato bellissimo.
Questo è uno spettacolo vivo con delle persone che parlando cercano una relazione con te, non cercano di farsi vedere mentre hanno una relazione con se stessi.
Ai concerti c’è un’iniezione energetica incredibile, è entrare nel campionato dell’agonismo machista, per come è conformato, perché non devi star seduto perché balli, perché gridi di fronte a gente che ti sta gridando in faccia.
È una energia catartica che molto spesso prescinde pure da quello che dici, se poi riesci a dire qualcosa ha un doppia valenza questo ruolo da narcotrafficante di sensazioni.
Però la rappresentazione teatrale ha precedenti che il concerto musicale non ha: provare otto ore a dire, cercando e sapendo che puoi continuare a cercare che è del teatro. Nella musica si trasforma in ripetizione virtuosa dello stesso movimento all’infinito, finché non cambia il contesto ed è il contesto a dare unicità.
Le persone aderirebbero più allo spettacolo se ne conoscessero le prove?
Aiello Proprio così, ce ne si accorge nei momenti di lavoro in cui apriamo a dei gruppi. Il processo di lavoro in cui si riesce a coinvolgere un piccolo numero di persone riesce sempre ad avvicinare tantissimo. C’è uno scambio che dentro una stanza chiusa con noi stessi dentro non succede. Il teatro contemporaneo non ha bisogno di una molteplicità di spettatori – ce ne sono sempre di meno – ha bisogno di pochi spettatori alla volta.
L’opinione del pubblico è cresciuta insieme con la gestazione dello spettacolo?
Borghesi Questo prodotto si appoggia quasi esclusivamente sul pubblico, voglio permettermi di dire che ci sono persone cresciute con questo spettacolo.
Io l’ho progettato perché fosse il cambiamento della mia vita. Oggi, i temi del mio personaggio sono sempre meno i miei: lo sbarbo che ha gli attacchi di panico e soffre del rapporto coi padri era una cosa nella quale mi trovavo alla sua età e che potevo usare, ora mi trovo a dover usare dei correlativi oggettivi per dargli la sua vera voce.
Guenzi Tu puoi fare le cose un po’ saltando addosso alle persone, mettendo in campo tutti gli stratagemmi che vuoi, oppure puoi fare le cose aspettandoti che a un certo punto le persone capiranno il tuo genio.
Borghesi Spoiler: non succederà.
Guenzi Spoiler: la maggior parte dei geni incompresi non è un genio o semplicemente ha il suo personalissimo motivo per non essere compreso.
È una questione di posizione che hai nei confronti dell’interlocutore. Guardate questo spettacolo, guardatene l’operazione, caspita! Finalmente qualcosa pensata al contrario: non per vendere lo spettacolo con l’incubo di rientrarci con le spese. Rapportarsi col dato di realtà è una vera relazione, sia con coloro da cui sei chiamato, sia con quelli che vengono allo spettacolo sia con quelli che verranno forse un giorno, sia con quelli che hanno scelto di non venire. E’ una questione di reazione allo sguardo non di luce.
Se il dato di realtà fosse proprio l’assenza di quegli sguardi? E se questo posto, se Dominio Pubblico fosse la fucina per nuovi occhi che andranno a guardare?
Borghesi È vero che alcune sale rimarranno vuote, però la cosa che abbiamo capito di noi è che non vogliamo che succeda. Tiziano (Tiziano Panici, direttore progetto Dominio Pubblico Under25, ndr) ha trovato un modo: pensare prima al fermento intorno all’operazione e solo poi a cosa farci dentro. Bisogna chiedersi a chi si sta parlando. Checov diceva “nel mio immaginario i bruni mi sono ostili e i biondi freddamente indifferenti”: è indispensabile porsi il problema di quale sia il tuo pubblico.
Guenzi E quando accade che il pubblico individuato sia predisposto alla tua azione, in generale compiere l’unico atto a suo modo rivoluzionario, ignorare il dettato del sistema. Non è detto che il capital liberismo sia l’unico sistema nel quale possiamo vivere, non è detto che l’infelicità sia l’unica condizione che possiamo esperire, non è detto che la coppia sia l’unica maniera di amarsi non è detto che la guerra sia l’unico modo di prevalere sull’altro.
Borghesi che è quello che ho imparato da lui. Grazie all’osservazione di alcune dinamiche de’ Lo stato sociale e pensando di applicarle al teatro ho pensato di poter riuscire anch’io a fregarmene. Quando ho iniziato io ero a mio modo disperato, la loro spinta ci ha cambiato la vita.
I padri vanno uccisi con la leggerezza, fare compiutamente quello che senti che deve somigliare al principio di piacere. E il mio principio di piacere si concretava nell’incontrare il pubblico e allora l’uccisione rituale accade non sulla scorta di una tignosità capricciosa ma sulla scorta di una apertura ariosa. E in questo posto aperto stasera c’è aria buona.
Francesca Pierri
30 maggio 2017, Teatro India, Dominio Pubblico
uno spettacolo di Kepler-452
regia Nicola Borghesi
con Lodo Guenzi, Paola Aiello, Nicola Borghesi
musiche Lo Stato Sociale
libera riduzione teatrale realizzata da Kepler-452, V. Cramarossa, V. Fiorica da un testo di Quit The Doner (Daniele Rielli)
scene e costumi Calori&Maillard
aiuto regia Enrico Baraldi
una produzione Kepler-452 e Festival 20 30
con il sostegno di Fondazione Del Monte di Bologna e Ravenna