Valerio Binasco è il nuovo consulente artistico del Teatro Stabile di Torino, Teatro Nazionale. Lo abbiamo intervistato al termine della conferenza stampa di presentazione.
La stagione 2017/2018 del Teatro Stabile di Torino porterà in scena 69 spettacoli – programmati insieme a Torinodanza – fra settembre 2017 e giugno 2018. Tra i nomi: Martin Kušej, Simon Stone, Jurij Ferrini, Leo Muscato, Fabrizio Falco, Andrea De Rosa, Elena Serra, Eugenio Allegri, Giorgio Gallone. Non ultimo, Valerio Binasco con Don Giovanni di Molière. Durante la conferenza stampa di presentazione della stagione è stato anche annunciato ufficialmente il passaggio di incarico di consulente artistico da Mario Martone a Valerio Binasco a partire dal Gennaio 2018. Gli abbiamo fatto qualche domanda a caldo.
Ha evidenziato la sua necessità di avere “un atteggiamento di sfacciataggine” nell’acquisire l’importante eredità di Martone.
Inserirsi nella scia creativa, produttiva, innovativa che hanno saputo esprimere Filippo Fonsatti e Mario Martone richiede il gesto di qualcuno che con una certa sfacciata umiltà dica: ”Dài, ci provo”. Mi rendo perfettamente conto che fare altrettanto è una missione impossibile, ma non è impossibile non tradire quello che hanno fatto. Per quanto possa sembrare deludente, il mio impulso iniziale non può che essere in una linea di totale affinità e condivisione.
E non è sfacciato pensare e programmare il teatro in modo ambizioso nonostante gli ingenti tagli alla cultura?
Sì, lo è! Quello che mi piace di più è proprio aver avuto la disgraziata opportunità di diventare un teatrante – per certi versi ascoltato e riconosciuto – in un periodo in cui è particolarmente difficile fare questo mestiere. Proprio là dove è più difficile perché si manifesta uno strano disinteresse da parte delle istituzioni, dell’economia nei confronti di un’arte divertente come il teatro, proprio lì si sente che c’è più voglia di affondare il colpo. Il teatro si può fare comunque. Mi dispiace doverlo dire ma anche se dovessero tagliare completamente i fondi al teatro a livello nazionale non si esaurirà mai una energia vitale così importante. Ci sono dei Paesi poverissimi che esprimono un teatro straordinario. Ovviamente i soldi aiutano tutti e permettono di fare più o meno cose, con maggiore o minore dignità.
Pensa che i finanziamenti contribuiscano a creare o proporre alcuni tipi di teatro rispetto ad altri? O crede che la penuria economica conferisca urgenza al processo artistico?
Grazie della domanda, è molto stimolante. Ci riporta a quel circolo vizioso che compare nel famoso aneddoto di Orson Welles sugli orologi svizzeri a cucù. “In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerre, terrore, assassinii, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù”. Non è detto che sia una regola, non ci si può affidare a una dinamica del genere in modo assoluto. Penso che, durante la mia maturità di artista, mi sia stato dato di vivere in un periodo storico molto bello. Il teatro si è trovato a subire un cambiamento importante, è stato guardato in un modo completamente diverso da parte dei governi e delle istituzioni, ma non ha perso la testa. Ha invece mantenuto la bussola in un modo incredibile e secondo me il teatro italiano è in una fase di grande rinascita. Non è una rinascita immediatamente visibile. Il teatro sta recuperando un rapporto di fiducia e di condivisione con il proprio pubblico. Non potendo più i teatranti rivolgersi solo ai politici – come hanno fatto molti dei miei colleghi in passato – o essere benedetti dalla critica, perché ormai siete scomparsi.
Non siamo più potenti, ma esistiamo!
Ma siete fuori dall’orizzonte dell’influenza! Per molto tempo i miei colleghi hanno vissuto di contributi politici e di avvalli critici. All’improvviso mi trovo in un mondo in cui gli incontri vengono fatti di nuovo con gli spettatori, con il pubblico. E non vuol dire tradire l’intelligenza e il buon gusto. Vuol dire che con la platea c’è di nuovo un rapporto diretto: noi sul palco, voi in platea. Questo non può che dare un impulso molto positivo al teatro. I numeri che ci ha mostrato oggi Filippo sono impressionanti non perché si parla di soldi, ma di persone (durante la conferenza stampa Filippo Fonsatti ha mostrato gli indicatori chiave di prestazione confrontando le annualità 2015 e 2016. Nel 2016 si registra una crescita del 4,5% sul numero degli abbonati, ndr). Questo è un dato importante. A noi registi e attori spetta il compito di tornare a parlare dritti al cuore delle persone. Il compito del teatro non è fare cultura o fare politica. È far ridere e piangere. Se ci riusciamo è fatta.
Giulia Muroni
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