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Thyssen. C’era una volta la fabbrica

Thyssen di Carolina Balucani non racconta solo la vicenda della fabbrica d’acciaio, dei roghi, degli esuberi. Ma grazie ad essa indaga la condizione operaia. Recensione.

Thyssen
Foto Lorenzo Porrazzini

La cronaca non è un testo, ma un pretesto. Già, perché il teatro ha bisogno di riconoscere nuovi stimoli di rappresentazione, ha bisogno che ci si prenda rischi di distruggere, esplodere, rinnovare linguaggi e contenuti. Pertanto la cronaca, nella propria offerta di temi su un piano di linearità, non si dovrà temere di metterla in discussione, osare perché una storia che ne nasca sia un nuovo accesso alla verità. È questo azzardo il pregio che si arroga Carolina Balucani, attrice e drammaturga che affida a Marco Plini la regia del suo monologo Thyssen, in scena al Teatro delle Passioni di Modena, dedicato alle vicende della multinazionale dell’acciaio Thyssenkrupp che, a seguito di una crisi aziendale, nel 2014 fu costretta a proporre una riduzione del personale di 550 lavoratori nella fabbrica di Terni, i quali divennero in conclusione “appena” 290, non licenziati ma “dimessi” con un bonus di 80mila euro.
Ma la Thyssenkrupp, tristemente famosa anche e soprattutto per il rogo di Torino nel 2007 per cui ha avuto condanne pesantissime, non è dunque che un pretesto perché a essere indagata sia la condizione dei lavoratori contemporanei, specialmente quelli che svolgono non le mansioni più umili – ché sarebbe un errore considerare tali – ma quelle che hanno contribuito alla base di uno sviluppo industriale imprevisto fin dai primi anni del dopoguerra e che scontano ora la cristallizzazione del capitalismo e il conseguente impoverimento degli investimenti.

Thyssen
Foto Lorenzo Porrazzini

Una piscina, delimitata ai tre lati da pareti di plastica, come si trattasse di una grande cabina doccia, è alta appena alle caviglie e occupa l’intero spazio scenico; molte paperelle gialle, tutte uguali, vi galleggiano a pelo d’acqua. Carolina Balucani inizia un racconto a posteriori, in cui il personaggio è oltre il centro nevralgico della condizione evidenziata, ma che in un lento e progressivo avvicinamento spoglia di veli una storia sempre più dura. Fin dalle prime parole è per metaforizzazione che si intende mettere in campo il tema, ponendo in luce la vicenda fiabesca di Hansel e Gretel, più nel dettaglio alcuni frammenti in cui poter riconoscere il dolore per la perdita, per l’abbandono, un senso di spaesamento impenitente. Poi pian piano si fa largo il racconto della fabbrica, come di una persona da cui doversi allontanare, un amante che abbia tradito, un po’ come in uno dei libri cardine del rapporto uomo-fabbrica, quel Memoriale (1962) di Paolo Volponi che costituisce forse uno dei punti più alti della letteratura dell’alienazione dalla fabbrica.

Thyssen
Foto Lorenzo Porrazzini

Nella luce opaca di un arancio tenue, ma che bene sfrutta anche il naturale riflesso dell’acqua, le musiche dosano un’atmosfera sempre più pressante, mentre il personaggio inizia a svelare gli accenti di follia che l’hanno colpito e in virtù dei quali vive un tale allontanamento con un dolore inguaribile, capace di tenere insieme la vicenda della vertenza di Terni con il rogo torinese. Perché non è la cronaca, come detto, ma il sentimento in cui annega l’operaio prima ancora essere umano, estenuato, regredito a una forma di espressione quasi infantile, intimamente rimosso in ciò che lo consisteva adulto: il proprio lavoro, l’alimento di un’intera esistenza.

Thyssen è dunque un lavoro coraggioso attraverso il quale Carolina Balucani intende rinnovare un teatro civile in termini non lineari e narrativi ma performativi; tuttavia, oltre i buoni propositi e una misura del racconto accurata e sottile, nel complesso qualcosa dilata e distoglie, come ci fosse qualche estenuazione in eccesso e il testo offrisse troppo facilmente il fianco a una lettura più povera, in cui resta compresso. Eppure dell’autrice e attrice si avverte un sentimento sincero, cui Plini offre una efficace regia ambientale, fin proprio a quell’ultima luce in cui le paperelle continuano ad andare, sole, seguendo il corso, galleggiando sulle ondine, ovunque decidano di trasportarle. In balia, del vento, della corrente, del potere del capitale.

Simone Nebbia

Teatro delle Passioni, Modena – maggio 2017

THYSSEN
di e con Carolina Balucani
regia Marco Plini
luci Fabio Bozzetta
suono Franco Visioli
assistente alla regia Thea Dellavalle
consulenti alla drammaturgia Giuseppe Albert Montalto, Costanza Pannacci
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
si ringrazia l’Associazione Demetra / Centro di Palmetta

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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