Dall’altra parte del bosco, dell’autore Neil LaBute, debutta in prima nazionale al Teatro Argot Studio con la regia di Marcello Cotugno. Recensione
Ha compiuto sei anni lo scorso marzo dalla prima messinscena il testo In a Forest dark and deep dello statunitense drammaturgo e regista cinematografico Neil LaBute che Marcello Cotugno traduce, dirige e porta sul palco gli attori Paolo Giovannucci e Chiara Tomarelli.
Sono fratello e sorella Betty e Bobby, i due protagonisti spogli non degli abiti – che le mani dello scenografo Alessandro Vannucci hanno deciso di spargere per il palcoscenico e in platea – spogli delle loro piccole umane restrizioni, fantasie di autore su testo e vagheggiata realtà da palcoscenico; certo una drammaturgia dilettante quella che disegna le loro inaspettate verità rispetto a quelle della cronaca quotidiana sul giornale che ogni mattina si tiene sotto agli occhi, ma sicuramente figlia di una priorità, l’urgenza per due fratelli di confessare e avvilupparsi intorno al proprio lato oscuro, giustificandolo per il fatto stesso di averlo presentato. I due necessitano del disvelamento del proprio dolore facendone materia plasmabile e redimibile per un vivere più accondiscendente e felice verso i propri desideri. Bobby ha raggiunto la sorella per aiutarla nel traslocare i ricordi a casa sua però con lei vorrebbe soltanto addormentarsi in una scatola svuotata di qualunque affanno.
La donna cambia spesso paia di scarpe e preferisce calpestare con le piante dei piedi le pagine di un libro di anatomia confuse sul pavimento del Teatro Argot Studio, la scenografia le fa credere piastrelle illustrate di un rifugio preso in affitto per accamparci i sensi di colpa.
A piedi nudi calpesta un’esistenza che ha sistemato al fianco del marito, partorendo qualche figlio per cui si guarda bene di mostrare il senso materno di appartenenza; alla quotidianità è più facile riservare meno premure e pestarla da scalzi come l’abbiamo abituata a conoscerci. Al punto che l’attrice infila le scarpe quando usa una gestualità vezzosa, convulsa e arrendevole e una voce intermittente e calibrata sulle frequenze dell’incertezza. Viene spontaneo pensare il suo personaggio accanto a molti altri compagni, per emozione e novità dell’emozione, nel momento in cui nega le avventure che lei stessa ha deciso.
Il fratello dal canto suo risente di un passato impiegato ad arginare l’ombra di lei, è un filo che le stringe la giugulare nei modi irruenti che ha di obbligarla alla maturazione e alla rivelazione della sua scomposta indipendenza sessuale, ma rappresenta pure l’unico gomitolo a cui tenersi per dimensionare una condotta irrisolta, così distante dalla morale che l’uomo scambierebbe con il pane. E quanto è dolce assisterlo mentre ignora il prezzo del voler conoscere ostinatamente.
L’attore è impregnato della determinazione dei disperati, scosta ma si arrende a venerare i fianchi della sorella, provando persino a essere per lei una possibilità. A lui spetta il compito di battezzare il dolore col nome di Verità, ed è una cerimonia pubblica che sosta pochissimo a spendersi nel dialogo familiare tra i due raggiungendo subito l’indirizzo del pubblico seduto a guardarli per essere sfidato e offeso in quella che è la battaglia del teatro: sciogliere le cinture della certezza. Non vi è traccia di redenzione, né di ammonimento, né di soluzione, neanche l’impronta di una carezza allo spettatore: testo, regia e interpretazione si sono giurati fedeltà e violentano l’uomo a uscire dall’altra parte del bosco dove, non più della sua, “la notte è buia e tempestosa”.
Francesca Pierri
Teatro Argot Studio – marzo 2017
DALL’ALTRA PARTE DEL BOSCO
di
Neil LaBute
Traduzione di
Marcello Cotugno e Gianluca Ficca
regia
Marcello Cotugno
con
Paolo Giovannucci e Chiara Tomarelli
produzione
KHORATEATRO