Roma Theatrum Mundi. L’assemblea cittadina per il teatro avvenuta lo scorso 25 febbraio al Teatro India. Alcuni spunti di riflessione in vista del prossimo incontro.
Tra polemiche, incomprensioni generazionali e scontri istituzionali, deviazioni, promesse sfatate e il rischio di ripetere strade percorse e poi sfumate, diciamoci prima una cosa: quanto è accaduto lo scorso 25 febbraio al Teatro India ci diciamo che è stato foriero di una grande emozione, sfaccettata certamente, piena di alti e bassi; ci diciamo che è stato importante essere presenti a quella assemblea cittadina per il teatro, vederci sotto uno stesso tetto a porre sul piatto problemi, instradare soluzioni, alzare stendardi, arrabbiarci anche. Questa prima plurale è, credo, alla base di qualsivoglia discorso, perché il “noi” implica iniziare a considerarci come comunità, che molto spesso non comunica, che è una comunità implicita, che «guarda il proprio orticello» sostiene qualcuno, che «non soppesa tutti gli interessi dei lavoratori», sostiene qualcun altro. Bene, questo è un primo passo di presa di coscienza che il problema, anzi i problemi, diversi, che colpiscono in diverse modalità e misura tutti gli elementi attivi del teatro romano, vanno affrontati in maniera modulare e però collettiva, possibilmente senza schieramenti, al di là del «prima tra di noi e poi con tutti gli altri» (là dove per “altri” spesso la polemica sui social indicava le Istituzioni del Teatro di Roma o l’assessore culturale).
Protagonisti di quest’assemblea potremmo definirli “attori sociali”, perché non parliamo soltanto dei tanti lavoratori perennemente precari come attori, registi, operatori, maestranze; ma anche degli spazi chiusi – si vedano i sigilli apposti qualche giorno prima a Rialto e Orologio – o a costante rischio chiusura; dei critici il cui lavoro regolarmente pagato quasi non esiste; delle associazioni che trovano la propria formula giuridica ormai obsoleta senza riuscire a poter trovare una dimensione che non le schiacci o le costringa a una radicale trasformazione; del Teatro di Roma che ha spesso le mani legate e che, pur trovandosi nella capitale, non è ritenuto dal Ministero meritevole di un contributo equiparato ad altre strutture omologhe, o ancora dello scollamento che si avverte tra questo e il cosiddetto “teatro di ricerca”.
Roma Theatrum Mundi è forse un’utopia. L’assemblea cittadina per il teatro romano sofferente, nelle intenzioni del “gruppo di studio e di intervento” che l’ha indetta Pre-Occupazione (composto da Graziano Graziani, Sergio Lo Gatto, Andrea Porcheddu e Attilio Scarpellini) ha voluto farsi primo contenitore per riconsiderare la propria specificità in un’ottica condivisa, dunque lungi dalle intenzioni considerarla come panacea risolutiva. Primo risultato raggiunto a conclusione di queste otto ore senza quasi prender fiato è un nuovo appuntamento, per la fine di marzo, all’Angelo Mai, per costituire formalmente le proposte emerse sui cosiddetti “tavoli di lavoro”, espressione questa tra le più gettonate soprattutto nella seconda parte della giornata. Nella speranza che possa diventare un appuntamento periodico, il vicesindaco e assessore alla Crescita culturale Luca Bergamo, presente alle discussioni della mattina e cosciente della gravità della condizione, si è detto disponibile a partecipare.
Se il dubbio sull’efficacia di questa modalità rilevato da Anna Bandettini è legittimo, («stiamo ancora ai tavoli di lavoro?»), è sempre valido anche l’“eppur bisogna andar”, ma soprattutto, come sollevato più volte, non bisogna sprecare quanto fatto prima. Ovvero: non è di certo la prima volta che la Roma teatrale è in crisi (ce ne hanno raccontato gli organizzatori a inizio giornata, lo hanno ribadito altri relatori durante), dunque non è la prima volta che si è provato a mettersi insieme per condividere strategie. Che fine ha fatto quel lavoro? È importante che non vada disperso, ma riconsiderato alla luce dei suoi successi e dei suoi fallimenti, non soltanto portando avanti ma condividendo quelle pratiche (“buone pratiche” le si chiama) che negli anni si sono rivelate efficaci. Oltre a ciò dunque è altrettanto indispensabile riunire le specifiche problematiche emerse, per poterle affrontare praticamente e in base a una giusta ottica per ciascuno, ma non dimenticando il denominatore comune.
A proposito di condivisione, rileviamo un altro dei nodi cruciali che hanno smosso gli animi ovvero un sentimento di esclusione da parte di alcuni gruppi nei confronti di altri, esclusione spesso di carattere generazionale, a volte invece più profondamente strutturale. Se è vero da una parte che ai gruppi più giovani è richiesta la formazione e l’informazione necessaria, aprire gli occhi e vedere il proprio orto devastato e pieno di mine, è pur vero che si deve tendere la mano e compiere un passaggio doveroso nell’ottica di un’apertura e non di una chiusura del cancelletto di casa, così come non ha senso un atteggiamento nostalgico da parte della “vecchia guardia”. Certo bisogna farsi forti, e oramai non è soltanto necessario ribadire la propria presenza, ma rendersi conto di fare parte di una geografia sfaccettata, dunque sapersi relazionare con competenza (pur nella comprensibile acerbità o al cospetto della propria storia) con il resto. In questa direzione, forse, un altro punto da tenere più fortemente in considerazione è quello legato alla formazione. Non solo o non tanto quella artistica quanto una formazione più ad ampio raggio, che guardi anche alle scuole, alle università, agli spettatori in generale. Non che non siano stati temi lanciati, ma alcune urgenze hanno prevalso su altre.
Urgenze, emergenze, parole che non suonano bene (per quanto chi fa arte spesso ne abbia fatto, anche abusandone, un motore di creazione), parole che indicano uno stato di calamità. Siamo una specie a rischio, qualcosa “da proteggere in una riserva” come indica l’immagine del nativo americano alle spalle del tavolo delle discussioni. E, si badi, non si tratta soltanto di una questione localizzata, regionale, ma per forza di cose deve essere estesa a una riflessione più ampia, nazionale, forse internazionale, dalle richieste dei sindacati (pur nella giusta ricollocazione dei propri diritti, come non valutare la specificità del mestiere attoriale che per sua natura differisce da quello di un metalmeccanico?), dalla questione della differenza di significato tra “giustizia” e “legalità”, dal dover necessariamente riconsiderare alcune leggi, obsolete, non più applicabili, dall’ammissione del problema enorme che «in questa città l’autorità giudiziaria non interpella l’autorità politica» fino al riconsiderare le logiche di assegnazione delle competenze e delle possibilità che rendono difficile una reale programmazione.
Il Gruppo Pre-Occupazione si rende aperto alla condivisione di idee e interventi che siano puntati all’organizzazione della seconda assemblea e alla struttura dei tavoli di lavoro. Gli ulteriori materiali potranno essere inviati al gruppo Facebook dove si stanno raccogliendo quelli emersi dal primo incontro.
Che valga per tutti noi cittadini della “Roma teatro del mondo”: arriviamo preparati, portiamo avanti e condividiamo modelli che funzionino, con chiarezza, facciamo fronte comune provando ad ascoltare l’altro. Come dicono gli Apache: «È meglio avere meno tuono in bocca e più fulmini nella mano».
Viviana Raciti
Storify twitter su #assembleaindia
Leggi il comunicato di Roma Theatrum Mundi
[…] non si farà una cronaca, rimandiamo a quelle di klpteatro, teatroecritica e del blog di Anna Bandettini su LaRepubblica , lo storify, il gruppo aperto su […]