Jacopo Godani apre la nuova edizione del Festival Equilibrio all’Auditorium Parco della Musica di Roma con quattro coreografie della Dresden Frankfurt Dance Company
Presentando profondi cambiamenti di rotta rispetto al passato, il Festival Equilibrio di Roma quest’anno si vede rinnovato tanto nei temi quanto nelle estetiche proposte. La direzione artistica di Roger Salas punta principalmente su due categorie della danza contemporanea già ampiamente storicizzate, ovvero il balletto contemporaneo e il teatrodanza che in Germania hanno goduto, per ragioni storiche e produttive, di un terreno particolarmente fertile. Ancora resta da capire meglio, invece, il futuro di quello che per diversi anni è stato un punto di riferimento per i coreografi emergenti, il Premio Equilibrio. Si tratta di una delle manifestazioni più importanti per la ricerca coreutica, che da quest’anno è stata separata dal festival: una scelta identitaria forte che speriamo possa trovare giustificazione nella formula in cui verrà riproposta, come è stato comunicato in occasione della conferenza stampa del festival, nel corso dei prossimi mesi.
L’apertura dell’edizione 2017 è stata dunque affidata alla Dresden Frankfurt Dance Company diretta dal coreografo italiano Jacopo Godani. Le prime serate, in scena nella sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica, sono state accolte con grande entusiasmo e partecipazione da parte del pubblico romano. Nel loro insieme, i due programmi ci hanno permesso di apprezzare uno dei modi in cui si sta evolvendo oggi quell’eredità artistica che dal cosiddetto neoclassico del secondo dopoguerra è giunta fino agli anni Duemila tracciando un percorso di ricerca coreutica cui da subito è stata riconosciuta una fondamentale rilevanza storica e artistica.
Interessante è stato poter apprezzare come molti dei segni che compongono le proposte dal coreografo di origine spezzina possano apparire come una sorta di spin off delle coreografie degli anni Ottanta e Novanta di William Forsythe, coreografo rispetto al quale Jacopo Godani è in un rapporto di filiazione diretta essendo stato a lungo (dal 1991 al 2000) un interprete e collaboratore del coreografo del Balletto di Francoforte prima che questo venisse chiuso.
Quelle di Forsythe sono dunque coreografie con le quali non solo Godani entra in risonanza, ma alle quali egli sembra voler offrire – a tratti – un vero e proprio tributo di riconoscenza che si gioca tanto sul piano corporeo che su quello strutturale. Potrebbe forse essere per questo, quindi, che la limpidezza compositiva di The Primate Trilogy, si pone in piena continuità rispetto alle estetiche della danza in cui il coreografo è cresciuto e che di conseguenza definiscono l’identità della sua compagnia, nata nel 2015 in seguito alla chiusura dell’esperienza decennale della The Forsythe Company.
Della prima serata, tripartita ma non segnata da variazioni di linguaggio, colpisce soprattutto l’energia espressa dai danzatori alle prese con componenti di alto valore tecnico, incessanti e intrecciate le une sulle altre quasi a soffocare qualsiasi principio di organicità corporea. Attraverso l’impiego costante di una potenza esplosiva ma controllata, nella scrittura coreografica vengono plasmati gesti a velocità supersonica in alternanza a brevi stasi cariche come molle pronte a scattare. L’identità formale di questa proposta appare, quindi, attraverso variazioni estreme di intensità e, dal punto di vista estetico, nel vero e proprio colpo d’occhio offerto dalla visione dei diciassette danzatori avvolti in leggere tute aderenti al corpo di voile nero trasparente da cui le estremità spuntano come appuntite fioriture; specialmente l’impostazione delle mani – di chiara origine forsythiana, con le dita centrali più chiuse verso il palmo rispetto alle altre – sembra decorare il gesto racchiudendo e trattenendo la forza del movimento tra le dita, quasi fino a bloccarla entro l’immediata prossimità del corpo. La danza di Godani esercita inoltre una forza espressiva sui danzatori che si articola in modo diverso sui corpi maschili e femminili: nelle danzatrici la dinamica del movimento restituisce un’attitudine combattiva, mentre nei danzatori l’esercizio della forma è meno caratterizzante e, anzi, sembra quasi risolversi in un eccessivo manierismo che un poco compromette la lettura delle diverse parti.
Nella seconda serata abbiamo assistito invece a un programma misto composto da Metamorphers, Echoes from a restless soul, Postgenoma e Moto Perpetuo. Nella prima e nella seconda coreografia, la musica dal vivo ha iniettato una dose di calore nella danza altrimenti dedita alle traiettorie di una pura ricerca formale. Generosa e di alto livello, tra l’altro, è stata l’esecuzione al pianoforte di Ruslan Bezbrozh della complessa partitura di Ondine e di Le Gibet da Gaspard de la nuit di Maurice Ravel che ha accompagnato Echoes from a restless soul. Nell’intimità del passo a due Postgenoma, in programma in prima mondiale, Godani è sembrato più accogliente e disponibile nell’accompagnare lo sguardo dello spettatore all’interno della propria ricerca. Forse grazie a una riduzione della ridondanza fisica che ha caratterizzato quasi tutte le coreografie di gruppo, nel passo a due emerge un’idea di balletto contemporaneo più raffinata, che interroga le coordinate del gesto sulla scena indagando diverse altezze, ritmi, velocità senza quel senso di saturazione che, invece, ha caratterizzato The Primate Trilogy.
In entrambe le serate la compagnia è apparsa in scena animata da uno spirito fortemente coeso che offre solidità alle partiture tecnicamente esigenti di Godani mettendo in mostra un buon potenziale. Fa piacere inoltre poter percepire, nello scambio di energie che avviene tra la platea e la scena, un gruppo così unito. Il coreografo accarezza un’idea di danza in bilico tra passato e presente, consapevole della propria matrice artistica che così viene lanciata a tutta velocità verso un futuro per il quale è giusto nutrire curiosità e attesa. Nella soddisfazione campanilista data dal vedere un artista italiano dirigere una compagnia straniera nella quale, non solo in teoria ma anche in pratica, può condensarsi gran parte della ricerca coreografica degli ultimi trent’anni, risiede la speranza che questa trovi una sua forma riconoscibile e più libera da ogni possibile, forse inevitabile, certamente nobilissimo, estetico rimando.
Gaia Clotilde Chernetich
Festival Equilibrio, Auditorium Parco della Musica, Roma – febbraio 2017
coreografia, luci, scenografia e costumi: Jacopo Godani
musica: 48nord, Ulrich Müller e Siegfried Rössert
interpreti: Iolanda Filipa Almeida, Felix Berning, Daphne Fernberger, Rob Fordeyn, Gustavo Gomes, Anne Jung, Barbora Kubátová, Zoe Lenzi, Kristýna Němečková, Emilie Nguyen, Julian Nicosia, Michael Ostenrath (apprendista), Claudia Phlips, Carola Sicheri, Joel Small, David Leonidas Thiel, Ulysse Zangs
Metamorphers in collaborazione con Kubus Quartett
musica Béla Bartók, Quartetto per archi n. 4
Kubus Quartett
Ola Sendecki violino
Ruth Gierten violino
Liese Mészár viola
Trude Mészár violoncello
13 danzatori
Echoes from a restless soul
musica Maurice Ravel, Ondine e Le Gibet da Gaspard de la Nuit
Ruslan Bezbrozh pianoforte
4 danzatori
Postgenoma (Prima mondiale)
musica 48nord (Ulrich Müller & Siegfried Rössert)
2 danzatori
Moto Perpetuo
musica 48nord (Ulrich Müller & Siegfried Rössert)
interpreti: Iolanda Filipa Almeida, Felix Berning, Daphne Fernberger, Rob Fordeyn, Gustavo Gomes, Anne Jung, Barbora Kubátová, Zoe Lenzi, Kristýna Němečková, Emilie Nguyen, Julian Nicosia, Michael Ostenrath (apprendista), Claudia Phlips, Carola Sicheri, Joel Small, David Leonidas Thiel e Ulysse Zangs
Realizzato con il patrocinio della città di Dresda, dello stato della Sassonia, della città di Frankfurt am Main e dello stato dell’Assia. Compagnia residente di HELLERAU – Centro europeo per le Arri di Dresda e del Bockenheimer Depot di Francoforte.