Gabriele Lavia torna a lavorare su Pirandello con L’uomo dal fiore in bocca…e non solo, produzione del Teatro della Toscana e Teatro Stabile di Genova. Recensione. Da novembre 2016 anche in Emilia Romagna, a Torino, Roma, Pontedera, Udine…
È un filosofo, l’uomo dal fiore in bocca: come lo spettatore dei giochi olimpici nella celebre metafora pitagorica, egli sembra estraneo al quotidiano caos degli affetti e degli affari, e trova conforto soltanto nella contemplazione del mondo, del suo commovente splendore o piatto grigiore. Sovrano nell’arte socratica della maieutica, il protagonista dell’atto unico stana il pacifico avventore dalla sua bonaria placidità e lo induce a interrogarsi sul significato del vivere, in una progressiva educazione al dramma dell’esistenza. E a originare speculazioni e dubbi è la consapevolezza della morte, imminente per il protagonista ma certa per chiunque: quasi un Sein zum Tode precedente al magistero di Heidegger. Eppure il carattere teoretico del fulminante colloquio tra due estranei, che Luigi Pirandello trasse nel 1923 dalla novella La morte addosso, è adesso dissolto, ne L’uomo dal fiore in bocca …e non solo diretto e interpretato da Gabriele Lavia, nelle troppe interpolazioni di un adattamento che stempera la malinconia del testo originale in un’ironia misogina a tratti quasi grottesca.
Dopo Sei personaggi in cerca d’autore, Lavia affronta un nuovo capolavoro del genio di Girgenti, e a omaggiarne quasi l’intera produzione dilata la brevità della pièce con numerosi inserti, tratti da alcune novelle, che vorrebbero evidenziare l’identificazione pirandelliana tra la Donna e la Morte: quell’epitelioma ‑ «nome dolcissimo, più dolce d’una caramella» ‑ che condanna il protagonista è così occasione non soltanto per una disincantata riflessione sulla vita, ma anche per le ciniche e polverose considerazioni di due uomini che, approfittando della facile libertà rappresentata dalle confidenze tra sconosciuti, si rivelano delusi, irritati, addirittura violentemente infastiditi dalle mogli. La stratificata interpretazione della figura femminile nella poetica del premio Nobel ‑ contraddistinta sia da elementi di valorizzazione della progressiva emancipazione della donna, sia dalla denuncia della conseguente crisi delle certezze virili ‑ è qui appiattita in un collage di battute a effetto: «La rovina della società è il “feminismo” che vuole che la donna sia uguale all’uomo!», pronuncia l’avventore. Proprio quest’uomo comune subisce nell’adattamento una torsione che lo trasforma, da passivo ascoltatore del flusso di coscienza dell’uomo dal fiore in bocca, a complice delle sue idiosincrasie maschiliste: ma Michele Demaria non sembra in grado di sfumare i risvolti psicologici dell’alterazione, attestandosi su toni fin troppo enfatici. Cristallina è invece la maestria con cui Gabriele Lavia tratteggia il malato: misurato negli scambi con Demaria, appare sognante e commovente nei momenti di lirica introspezione. E tuttavia, in questi brevi istanti ‑ in cui l’uomo dal fiore in bocca ricorda con lancinante rimpianto i gesti sapienti di un commesso mentre confeziona un regalo, o cerca di assaporare con la memoria quella vita ormai preclusagli ‑ l’interpretazione di Lavia è quasi inficiata da un uso eccessivamente didascalico delle luci (disegnate da Michelangelo Vitullo) che interrompe il realismo cinematografico della messinscena virando improvvisamente su toni fluo.
Le accurate scenografie di Alessandro Camera trasformano il palco del Teatro della Pergola in una stazione primonovecentesca, che sostituisce il caffè del testo originale amplificandone le suggestioni metafisiche; nonluogo per eccellenza, la stazione dove l’uomo dal fiore in bocca si attarda a conversare con l’avventore sembra situarsi in un’atemporalità che non è estraneità al flusso cronologico bensì profonda e insuperabile immersione in esso. L’orologio che troneggia al centro della volta, al di sopra di una gigantesca panca, è privo di lancette, e solo i treni che coprono con i loro assordanti rumori brandelli del dialogo tra i due testimoniano lo scorrere incomprensibile di una vita remota. Fuori, sotto una pioggia incessante, una donna (Barbara Alesse) aspetta con incrollabile costanza l’uomo e il suo fiore fatale: soltanto la sua silhouette appare, traslucida, al di là delle vetrate della stazione. Moglie devota votata a condividere la malattia del marito, o figurazione della fine e presagio di dolore, ella affronta con silente caparbietà l’ira dell’uomo, disposto forse a ucciderla con quella stessa rivoltella che punta contro se stesso: ma sono gesti inani, quasi rituali nella loro surreale ripetizione. Le tragicomiche corse dell’avventore, ostacolate dalle decine di pacchetti che vorrebbe portare in dono alla moglie e alle sue amiche, sono meri palliativi a quella condanna che ci obbliga a perdere per una manciata di secondi un treno salvifico. Altrove la vita non è solo un ricordo: ma da qui, da questa stazione, non comincia alcun viaggio.
visto al Teatro della Pergola, Firenze – novembre 2016
Alessandro Iachino
TOURNÉE
Torino Teatro Carignano 22/11 – 4/12/2016
Roma Teatro Quirino 6 – 18/12/2016
Pontedera Teatro Era 28 – 29/01/2017
Udine Teatro Nuovo 2 – 4/02/2017
L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA …E NON SOLO
di Luigi Pirandello
adattamento Gabriele Lavia
con Michele Demaria / Lorenzo Terenzi, Barbara Alesse
scene Alessandro Camera
costumi Elena Bianchini
musiche Giordano Corapi
luci Michelangelo Vitullo
regista assistente Simone Faloppa
regia Gabriele Lavia
scenografo assistente Andrea Gregori
assistente alla regia Lorenzo Terenzi
suggeritrice Chiara Ciofini
direttore di scena e allestimenti Stefano Cianfichi
capo macchinista Adriano De Ritis
fonico Riccardo Benassi
sarta Piera Mura
Amministratore Filippo Rossi
la scenografia è stata realizzata interamente nei Laboratori del Teatro della Pergola
macchinisti costruttori Duccio Bonechi, Adriano De Ritis, Sandro Lo Bue, Loris Giancola, Stefano Mazzola, Francesco Pangaro, Filippo Papucci, Massimiliano Peirone
pittori scenografi Giorgia Denti, Paolo Ferrari, Emiliano Gisolfi
realizzazione costumi Fondazione Cerratelli
accessori Antonio Gatto, Street Doing
calzature Calzature artistiche Sacchi
service audio luci Luce è Firenze
trasporti M.S.F. Srl Roma
responsabile di produzione Valentina Di Cesare
produzione Fondazione Teatro della Toscana
in coproduzione con Teatro Stabile di Genova
Mi permetto di chiedere se il titolo dell’articolo, (che è quello dell’opera), è stato volutamente distorto oppure se si tratta di un errore di trascrizione.
Volutamente! Ti ha colpito positivamente spero 🙂 ?