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Le avanguardie in cantina. Racconti da Riccione TTV Festival

Una giornata al Riccione TTV Festival sul passato e il futuro della sperimentazione teatrale italiana del secondo Novecento, da una giornata di studi a due film che raccontano il teatro.

Simone Carella. Autodiffamazione, 1976. Foto di Alef. Pubblicata in 'Data', n°27, lugio-settembre 1977.
Simone Carella. Autodiffamazione, 1976. Foto di Alef. Pubblicata in ‘Data’, n°27, lugio-settembre 1977.

«Sperimentiamo una difficoltà intrinseca nel parlare di estetiche, e questa è la cartina di tornasole di un grande disordine che stiamo vivendo. Il discorso in questi anni è stato occupato interamente da questioni economiche, quasi un’arma di “distrazione di massa”. Bisogna tornare a parlare di quello che accade sulla scena. La spinta innovatrice che inizia tra il 1959 e il ‘63 oggi si trova a un punto di svolta». È con queste premesse lanciate da Rodolfo Sacchettini che si è aperta la tavola rotonda Dalle avanguardie al post drammatico durante la 23° edizione del Riccione TTV Festival. Una giornata di studi a cui hanno partecipato critici e studiosi (curata da Graziano Graziani e con Lorenzo Donati, Gerardo Guccini, Massimo Marino, Rodolfo Sacchettini, Annalisa Sacchi, Attilio Scarpellini) riguardo passato e futuro della nuova scena italiana, quel “nuovo teatro” che provò nella seconda metà del Novecento a distanziarsi dalla scena ufficiale (rigetto che proveniva anche da un’indifferenza, un rifiuto) e che fu oggetto di osservazione da parte di personalità come Giuseppe Bartolucci o Nico Garrone.

Maria Bosio, Matteo Garrone,Graziano Graziani e Attilio Scarpellini alla proiezione de L'altra estate. Foto di Margherita Cenni
Maria Bosio, Matteo Garrone,Graziano Graziani e Attilio Scarpellini alla proiezione de L’altra estate. Foto di Margherita Cenni

Durante la giornata le riflessioni hanno provato ad attraversare quei decenni di «rinnovamento di un linguaggio che rispondeva e reagiva alle risposte della persona», che ovvero assumeva su di sé istanze politiche e ideologiche senza sbandieramenti di partito, accennando tanto alle questioni estetiche – a partire dallo sconfinamento delle arti plastiche verso il tetro e viceversa la direzione della scena verso un teatro-immagine – quanto alle problematiche concernenti la ricezione, la fatica che quei luoghi hanno verificato nel loro permanere a lungo nel tempo e la mancanza odierna di una comunità formata che si senta chiamata in causa da un’opera.

Gli anni in cui il teatro si spostava dalla scena ufficiale e, ad esempio a Roma, approdava nelle cosiddette “cantine”, contando come protagonisti (tra gli altri) Carmelo Bene, Simone Carella, Manuela Kustermann e Giancarlo Nanni, Giorgio Barberio Corsetti, sono anche gli anni in cui la critica si trasforma, muta la propria natura, ridefinisce l’orizzonte del proprio sguardo («uno sguardo discreto – riporta Marino – ovvero capace di discernere i vari elementi e quindi di ricomporli assieme») a partire dal Convegno di Ivrea del 1963 e quello del 1967 nel quale fu redatto il cosiddetto Manifesto di Ivrea, firmato da Franco Quadri, Edoardo Fadini, Ettore Capriolo e Giuseppe Bartolucci.

L'estate romana, frame dal film.
L’estate romana, frame dal film.

Proprio quest’ultimo, assieme a Nico Garrone e Maria Bosio negli Ottanta provò a ricostruire le fila di quella che fu l’esperienza della sperimentazione romana delle avanguardie ne L’altro teatro, film in tre episodi (presentati questi a puntate all’interno del Festival nella sezione Il cinema racconta il teatro), dando voce ad alcuni protagonisti di quel tempo (da un lato per vocazione e dall’altro per necessità dato che già nel 1980 quelle esperienze stavano affrontando il proprio declino).
I tentativi di storicizzazione, pure dibattito del convegno, però trovano un’interessante frizione con un altro film, non a caso diretto da Matteo Garrone, in dialettica vent’anni dopo rispetto il film pensato dal padre, L’estate romana. Non un documentario ma un film – secondo le parole del regista romano – «tra due generazioni a confronto, totalmente libero», dove la poesia si scontra con una pratica svuotata, il viavai del Lungotevere con una città fasciata, soffocata e asfittica in attesa del Giubileo; l’incavo e la bocca costretta di Rossella Or, il suo sognare una nuova possibilità di far teatro e l’irrisione, la realtà cruda e sfuggente con cui la fa scontrare Simone Carella. C’è una scena sintomatica di quel peso che portiamo ancora addosso: l’arte, goffo mappamondo di scena, mezzo dipinto e mezzo rovinato dalla pretesa di uscir fuori da una porta troppo stretta, viene caricato sul tetto della macchina. È venuto male, non serve più per lo spettacolo, anche se è costato mesi di lavoro, non lo vogliono i cinesi di piazza Vittorio, forse qualcuno ai Cancelli di Ostia, allora si viaggia, si continua ad andare, verso fuori.

Viviana Raciti

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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