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Politica, cultura e teatro. Da Sassari al resto d’Italia

Dal nazionale al locale. Quali sono le attitudini della politica rispetto alla cultura e allo specifico teatrale? Riflessioni da un incontro organizzato a Sassari

Un immagine dall'incontro pubblico
Un immagine dall’incontro pubblico Cultural-mente, Fondazione di Sardegna, Ottobre 2016. Foto Leonardo Tomasi

Rendersi indipendenti dai finanziamenti pubblici, è questo uno dei mantra degli ultimi anni in ambito di gestione, promozione e produzione artistica. In tutta la penisola l’agenda di appuntamenti, convegni e workshop è fittissima, tutti alla ricerca di una sola risposta: come aggirare l’ostacolo economico facendo a meno di contributi statali o locali – che quando ci sono spesso sono legati a procedure e bandi rigidi e complessi. Compagnie che producono per mezzo del crowdfunding, teatri che inventano abbonamenti su misura, promozioni last minute sui social, guerrilla marketing, spettatori trasformati in influencer e storyteller e poi almeno un altro paio di pratiche dai poteri ormai taumaturgici: fare rete (sempre e comunque) e acquisire le competenze per proporre progetti europei. E in tutto questo la politica che fine ha fatto? La politica agevola il momento di passaggio. Sul piano nazionale siamo ancora in attesa di una legge (ma abbiamo un nuovo regolamento che ha mutato radicalmente il piano dei finanziamenti statali del Fus) e sul piano locale la situazione è a macchia di leopardo. In alcune regioni, soprattutto al nord (ma anche in alcuni centri del sud), vi è una sensibilità diversa, la capacità di progettare anche a lungo raggio. Ma quello con cui spesso cittadini e operatori culturali si trovano a confrontarsi è una mancanza di comunicazione, dunque la politica (culturale) diventa l’abilità con la quale preparare la strada ai nuovi modelli di cui sopra. La questione riguarda tutta Italia, ma è poi negli esempi locali che si rintracciano certi modelli. A Sassari qualche settimana fa rappresentanti del mondo teatrale e culturale si sono confrontati anche con la politica per fare il punto della situazione. Durante l’incontro Cultural-mente, organizzato da Meridiano Zero nell’ambito del progetto Format-azione, ci si è interrogati sulle potenzialità di progettazione e sviluppo culturale, si è parlato di un nuovo modo di diffondere la cultura, in un’ottica di impresa, si sono portati esempi virtuosi a livello nazionale e si è parlato della realtà sarda, puntando l’occhio sul territorio.

Il panorama cittadino è sconfortante: il Nuovo Teatro Comunale accoglie i pochi titoli del circuito regionale, Cedac, la cui programmazione non rende certo conto della scena italiana contemporanea. Il Nuovo Teatro Verdi, che fino alla scorsa stagione aveva la stessa gestione del Teatro Nuovo di Milano (direzione artistica di Lorenzo Vitali), con proposte commerciali, da quest’anno tornerà nelle mani di una realtà locale, la Cooperativa Teatro e/o Musica (guidata da Stefano Mancini), ma non è ancora possibile conoscere la programmazione. Tra le associazioni che organizzano piccole rassegne o festival, spiccano Meridiano Zero con Marosi di Mutezza, e Luigi Doddo con Danza Sassari Danza, unici passaggi del contemporaneo nel nord-ovest dell’isola. Ampliando lo sguardo ad altri ambiti, i cittadini hanno visto chiudere una dopo l’altra le sale cinematografiche, e oggi, mentre si attende l’apertura del primo multisala, i film vengono visti in un auditorium scolastico o in luoghi altri, grazie, ancora una volta, ad associazioni resistenti. Tutto questo mentre la politica si smarca dalle proprie responsabilità, come ben ha dimostrato Raffaella Sau, Assessore alle Politiche di sviluppo locale, cultura e turismo del Comune di Sassari, con le dichiarazioni fatte durante l’incontro del 15 ottobre: «I cinema chiudono perché i film si vedono in streaming» e ancora «Non sono gli amministratori ma gli operatori a doversi domandare perché i teatri sono vuoti». E se alcuni degli operatori a cui si rimbalza la palla si dicono certi di intercettare i gusti del pubblico programmando spettacoli leggeri, allora il quadro è completo. Perché la banalizzazione delle problematiche e la superficialità di ragionamento sono peggio della mancanza di contributi. Ciò di cui la città ha bisogno è l’arricchimento e la diversificazione dell’offerta, perché Sassari ignora il panorama teatrale italiano ed europeo. C’è necessità di formazione, per gli artisti innanzitutto, dato che le compagnie del territorio propongono spettacoli che non sono competitivi a livello nazionale, avendo poche possibilità di circuitazione e pochissime di visione, e per gli operatori, affinché conoscano nuovi percorsi di progettazione e management. Servirebbero progetti di audience development, ovvero di sviluppo, e educazione, del pubblico. E crediamo ancora che questo si possa fare in dialogo con le istituzioni, qualora queste si ponessero in una condizione di confronto e non pensassero che ciò accade in casa loro non li riguardi da vicino.

Andrea Pocosgnich e Rossella Porcheddu

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