Jon Fosse ha debuttato in prima mondiale con un nuovo testo teatrale, È Ales. La messinscena di Gianluca Iumiento è andata in scena al Festival Quartieri dell’Arte di Viterbo. Recensione
È vero, la letteratura teatrale non ha mai smesso di evolversi. L’arte di scrivere per la scena ha, di paese in paese, una rilevanza diversa, figlia della tradizione e insieme del continuo muoversi dei confini culturali, del ribollire delle tematiche, dell’emergere di urgenze sempre nuove, in un mondo che muta. Perché a cambiare è certo la parola con le proprie grammatica, sintassi e semantica, ma è ancor prima l’immaginario. Come se – di era in era e di latitudine in latitudine – il bisogno di rappresentare e di rappresentarsi necessitasse di una struttura mai troppo rigida, sempre pronta a rivalutare la presenza viva dello spettatore come cellula ingovernabile in un processo organico.
Ed è così che le grafie si macchiano di specificità temporali e territoriali, così che nascono i “classici”, così che un testo risulta ora “datato” ora “fuori contesto” oppure “rivoluzionario” o “calzante”. Ci sono poi quegli autori che si impongono sulla scena con testi talmente orizzontali da realizzare un misterioso paradosso: sono perfettamente coerenti con uno stile e un immaginario e al contempo talmente universali da ergersi sopra alla totalità di queste questioni. Jon Fosse è uno di questi. A un passo – si mormora – dal Premio Nobel, nella natia Norvegia egli è ormai considerato un colosso al pari di Henrik Ibsen, tanto da godere di un alloggio “honoris causa” nel Palazzo Reale di Oslo e da diventare personaggio protagonista in una parodia dei suoi testi più famosi che verrà prodotta dal Norske Teater della capitale.
Da anni, ormai, Fosse – persino più celebre come romanziere – dichiara di non voler più scrivere per il teatro. Ma chi lo abbia frequentato negli anni sa che fin dalla sua fondazione nel 1997 il festival Quartieri dell’Arte di Viterbo impegna ogni risorsa per portare in Italia il meglio della drammaturgia internazionale. E dunque anche per non fermarsi a queste dichiarazioni. È Ales è infatti una prima mondiale, un adattamento dal romanzo omonimo firmato dallo stesso Maestro, il quale una volta di più dimostra una padronanza delle parole e, ancor di più, degli interstizi che le separano in grado di condensare una complicata saga famigliare in cui una sorta di maledizione della “morte per acqua” si trasferisce lungo cinque generazioni in soli novanta minuti di dialoghi.
La chiave sta in un semplice stratagemma, quello di non eliminare la voce del narratore indiretto che, in terza persona, racconta le vicende di Signe e del marito Asle, che una notte scompare in un mare tempestoso, durante quel consueto giro in barca che dovrebbe servire a temperare la sua depressione. In scena, oltre ai giovani Maria Sand e Gianluca Iumiento (anche regista, diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia e ora trapiantato sulle scene norvegesi), c’è Daniela Giordano, che guida la narrazione ma al contempo funge da doppio adulto di Signe.
L’affascinante grotta sotto al Palazzo dei Papi dimostra di essere uno spazio forse troppo esiguo per contenere il gran numero di segni e oggetti scenici che fanno da contorno ai vari piani narrativi e temporali. Sul fondo un grande pannello riassume l’albero genealogico, differenziando uomini e donne con i simboli delle toilette pubbliche, mentre scritte a neon colorato localizzano i luoghi chiave non solo della storia, ma dell’intero immaginario di Fosse: il fiordo, la montagna, il cielo e la casa. Quest’ultima è riprodotta in miniatura su di un tavolo dove, come in un plastico, pedine stilizzate solcano sentieri fatti di nastro adesivo. Un ventilatore simula il vento, un vaporizzatore gli schizzi d’acqua del Nord, un tapis-roulant permette di “camminare” fino al molo traballante, che non è altro che una passerella su ruote.
La regia di Iumiento distribuisce gli oggetti in maniera metodica e li utilizza tutti, in una scena minuta che attende palchi più grandi e dove la vicinanza eccessiva con gli attori da un lato aiuta a seguire i salti spazio-temporali, dall’altro scopre il fianco di certe ingenuità. Eppure la recitazione strascicata, sporca e immediata, più che ricalcare una moda del momento, in questo caso si adatta bene a una delle più evidenti particolarità di Jon Fosse: seppur piene di immagini poetiche, intrise di chiarezza fotografica, arricchite da visioni indecifrabili, le battute non scendono mai ad approfondire l’intimo dei personaggi. I ricorrenti paesaggi nordici e la loro atmosfera si rivelano con lampi fulminei, lasciando al ritmo del parlato e alle pause il compito di descrivere, nel muoversi tumultuoso della natura, ciò che dentro resta immobile e marcisce, come legno fradicio, attendendo invano il ritorno di qualcuno di fronte a una casa che, si ripete, non crollerà mai.
Sergio Lo Gatto
È Ales / Det er Ales
di Jon Fosse
Editing e dramaturgie di Maria Sand.
Versione italiana di Gianluca Iumiento, Kristian Bjørnsen e Giulia Brunello.
Regia di Gianluca Iumiento.
Assistente alla regia Martin Thomas.
Versione norvegese con Maria Sand, Elisabeth Sand e Oddgeir Thune.
Versione italiana con Daniela Giordano, Maria Sand, Gianluca Iumiento.
Una coproduzione del Festival Quartieri dell’Arte con Det Norske Teatret di Oslo (Norvegia).