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El Conde de Torrefiel: noia e sparizione ad arte

La compagnia catalana El Conde de Torrefiel torna a Short Theatre con La posibilidad que desaparece frente al paisaje. Recensione

Foto di Claudia Pajewski

Non sarà forse uno degli spettacoli più attesi, ma di sicuro tra i più curiosi, programmato durante la prima serata in questa undicesima edizione di Short Theatre nell’ambito di Fabulamundi Playwriting Europe. Sono passati due anni da quando, sempre nella cornice dell’ex mattatoio di Testaccio, li conoscemmo con La chica de la agencia nos dijo que había piscina en el apartamento, è tuttavia con questo grazioso sollazzo intellettuale che la compagnia catalana El Conde de Torrefiel ha colpito e affondato il pubblico romano. La posibilidad que desaparece frente al paisaje è una performance piana, lineare e senza gravità drammaturgica. Scorre nella sua durata, scivola apatica davanti agli occhi degli spettatori; si fa guardare e leggere. Sta lì e potrebbe anche non esserci, non per la sua inutilità quanto piuttosto per il ragionamento nichilista che sottende l’intera azione performativa.

«C’è un verso di Auden che ho sempre trovato fulminante. “L’arte non fa accadere niente”. Auden questo lo scriveva senza alcun compiacimento da esteta, anzi con una specie di rimpianto, e di disagio». Il disagio di cui parlava Vittorio Giacopini nel suo articolo pubblicato questo inverno sulle pagine de Lo Straniero, è lo stesso che si prova davanti alle riflessioni sornione e vagamente ironiche snocciolate dalla voce off di Tanya Beyeler durante lo spettacolo da lei scritto insieme a Pablo Gisbert e performato da David Mallols, Albert Pérez Hidalgo, Nicolas Carbajal, Tirso Orive. La scenografia di Jorge Salcedo pronta a riempirsi e colorarsi di corpi, gonfiabili, impalcature plastificate di sacchi, è un vuoto in grado di accogliere il pensiero, la discussione fatta pour parler (in alcuni momenti tratteggia similitudini con quella umoristica à la Woody Allen).

Foto di Claudia Pajewski
Foto di Claudia Pajewski

Non accade nulla, non vi è alcuna narrazione. C’è invece la critica allo stato presente dell’arte e dell’artisticità, alla sua inutile necessità di accadere ed esserci. La scrittura dei due drammaturghi catalani attraversa città (Berlino, Lisbona, Firenze, Kiev, Marsiglia…) e fenomeni e prodotti artistici analizzando la loro effimera valenza estetica per compararla alla contingenza sociologica: l’arte è inserita inevitabilmente in dinamiche dapprima antropologiche e poi economiche, che la svuotano e riempiono di significati altri. «Oggi gli artisti potrebbero benissimo fare i venditori di auto usate, di seconda mano. Ne hanno tutte le potenzialità». Così il testo della performance recitato con la neutra inflessione di tono caratteristica dei messaggi promozionali o delle segreterie telefoniche, cade, come a investirli, sui corpi dei performer un po’ goffi, un po’ spaesati e increduli che altro non sono se non meri feticci prodotti da questo «pessimismo organizzato» e inscenato lungo una serie di “momenti artistici”. Non le chiameremo citazioni, quelle di Michel Houellebecq, Pol B. Preciado, Spencer Tunick o Zygmunt Bauman che compongono il raffinato testo e strutturano proprio nella critica la forma della performance: è la messa in crisi del qui e ora e della fruizione del dispositivo performativo, il cui contenuto si scaglia contro gli spettatori, a renderle parte anch’esse di un divertissement bastante a se stesso, frutto della noia di una società stanca di tutto perché può averlo e può arrogarsi il diritto di commentarlo sui canali social. «Il messaggio che sembra voler passare è che la presa di parola dal basso non è altro che un’illusione di cui ci dobbiamo liberare ristabilendo netti confini tra emittenti e riceventi, tra chi sa e chi non sa, e anche, perché no, tra celebrità e audience», al riguardo così Giovanni Boccia Artieri identificava qualche giorno fa sulle pagine di Left questa “bulimia critica”. Critica all’arte e arte della critica si intrecciano in questo lavoro denotante sfacciatamente alcuni quesiti che diventano linguaggio e mezzo attraverso il quale far passare il senso del prodotto che ci sta intrattenendo.

La posibilidad que desaparece frente al paisaje si riferisce all’ultima tappa artistica di Jed Martin, protagonista del romanzo La Carte et le territoire di Michel Houellebecq, pubblicato nel 2010 e vincitore del premio letterario francese Goncourt. In una serie di video, l’artista in crisi, riprende come la natura stia divorando i prodotti dell’uomo, facendoli scomparire sotto il suo manto verde. Un segno questo, ritrovato nelle note dello spettacolo, che sembra apparentemente sviare dal contenuto estetico-filosofico della performance; «bajo su manto verde y tranquilo» la natura sembrerebbe nel romanzo prendere il sopravvento, necessaria e vitale, imprescindibile forma alla quale l’arte, forse si auspica, dovrebbe ricongiungersi. La possibilità, dell’Arte, che soccombe al paesaggio, naturale e antropologico. Il crollo del concettualismo incrinato dalla contingenza naturale degli accadimenti. L’arte per El Conde de Torrefiel è un esercizio di gonfiaggio e sgonfiaggio: le forme di intrattenimento vengono riempite d’aria e poi, una volta usufruite nella festa rituale, si svuotano e inermi ricadono a terra.

Lucia Medri

La posibilidad que desaparece frente al paisaje
nell’ambito di Fabulamundi. Playwriting Europe
spettacolo in italiano
regia e drammaturgia Tanya Beyeler e Pablo Gisbert
testo Pablo Gisbert
con David Mallols, Albert Pérez Hidalgo, Nicolas Carbajal, Tirso Orive
voce Tanya Beyeler
disegno luci Octavio Mas
scenografia Jorge Salcedo
suono Adolfo García
assistente coreografico Amaranta Velarde
traduzione in italiano Ettore Colombo
immagini Ainara Pardal
coprodotto da El lugar sin límites (Centro Dramático Nacional, Madrid / Teatro Pradillo), Festival TNT, Terrassa, Graner, Espai de Creació Barcelona
con il sostegno di Programa Iberescena, ICEC-Generalitat de Catalunya, INAEM-Ministerio de Cultura, Antic Teatre – Barcelona, La Fundición – Bilbao, Istituto Cervantes – Roma, Accademia di Spagna – Roma

vista a Short Theatre 11 – settembre 2016

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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