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Il cinico e il sarto: Maresco racconta il teatro di Scaldati

“Gli uomini di questa città io non li conosco” è il titolo del film documentario di Franco Maresco sulla figura di Franco Scaldati. Recensione

foto Franco Iannino
foto Franco Iannino

«Io sono le persone incontrate; amate o odiate. Sono i libri che ho letto. I film che ho visto, i quadri contemplati, la musica che ho ascoltato e, più tutto questo lo conservo dentro di me, e più appartiene agli altri». Parlava così del proprio lavoro Franco Scaldati, drammaturgo, attore e poeta palermitano, tra i più grandi del secolo scorso e, ciononostante, tra i meno noti, anche in quell’isola che fu per lui nutrimento e livore dal 1943 fino al 2013. Sarto, poi attore durante la Palermo vitalissima dei movimenti dell’avanguardia culturale del gruppo ’63 e delle rivolte fino allo stroncamento del terremoto e di quei fenomeni espansi e legati a filo doppio: mafia e cementificazione abusiva. Sotto la sua egida sono passate intere generazioni di teatranti, stimato da critici come Franco Quadri, amico sincero di un personaggio come Franco Maresco, la cui vicinanza non è soltanto affettiva ma anche stilistica, poetica (dell’anno scorso è una sua regia teatrale da uno dei testi più famosi di Scaldati, Lucio).

Proprio la voce di Cinico TV ha presentato allo scorso Festival di Venezia un film documentario dedicato al poeta. Curiosamente, il titolo (già utilizzato da Scaldati in un’altra occasione) sembra fare da contrappunto alla nostra citazione d’apertura: Gli uomini di questa città io non li conosco. Vita e teatro di Franco Scaldati. Nonostante la provocazione, nei suoi quarant’anni di carriera Scaldati ha scritto per le persone che gli stavano accanto, parole cucite addosso agli straordinari attori che conobbe in gioventù – alcuni dei quali, come Melino Imparato, ancora agilmente vivono tra i suoi versi; scrisse per la compagnia che conobbe i riconoscimenti nazionali, quella che lo seguì in un ritiro ascetico per quasi dieci anni e per l’attuale formazione che si muove ancora oggi tra i laboratori nei quartieri malfamati, le Orestiadi di Gibellina e si allarga, su, verso il Continente. Su questa strada, isolana e isolata, Maresco intreccia il discorso intrapreso con il suo precedente Belluscone: la Palermo della mafia, del dopo-strage di Via D’Amelio (proprio questo evento segna una cesura profonda nel film), dei primi focolai di Forza Italia, in bilico nel ricordo mitizzato di un passato sdirrubbato e un presente amorfo e disinteressato, di quelle facce che, ribaltando Pasolini, non sapresti più riconoscere.

Ecco le immagini che ci consegna il cineasta palermitano: Scaldati, sigaretta e corriere dello sport sotto braccio, intento a osservare meticolosamente, ricreando situazioni e personaggi incontrati tra i quartieri, nei mercati, inseguendo le voci delle banniate alla ricerca di una propria lingua d’espressione; moderna per quanto viva di arcaismi; non un dialetto artificioso ma un palermitano che guarda alla realtà (soprattutto delle figure liminali: barboni, pazzi, prostitute, «gli sconfitti, ovvero i più liberi») ma anche alla poesia di Rilke, di Blake, di Koltès. Ritrovò la musicalità del cunto dei pupari e la giocosità delle vastasate, rimpastando Verga, Collodi, Shakespeare. Lo chiamarono Beckett mentre lui andava già oltre quella stasi paradossale.

I primi tratti ad emergere nel documentario sono il surreale e il grottesco delle prime opere, rari filmati d’epoca e interviste d’annata, riprese da Maresco e Ciprì quando scoprirono la vicinanza intellettuale e artistica col Sarto, racconti in cui Scaldati con la barba ancora scura mostrava amarezza nei confronti di un teatro che non riconosceva. Il suo operare costante – di giorno a scrivere, di sera a provare, tutti i giorni – è «un esempio contro la logica del denaro» afferma Maresco, un modo di fare teatro che sembra fuori dai nostri tempi. Il suo è un film che ha lo scopo – dichiarato – di far scoprire, in maniera “didascalica”, l’opera di questo artista. A questo fine allora, quello che sembra il finale: un’apertura anche verso altri artisti, che prendano le sue parole e le interroghino, le facciano vivere anche oltre la sua memoria, oltre la celebrazione. Al funerale la chiesa era pienissima, tanto quanto le bocche di chi promise i doverosi allori. Ma, ecco ritroviamo la vena cinica: a nemmeno due anni da quelle parole al rintocco di campane, Maresco ci porta in un foyer, chiedendo chi sia Scaldati. Vorremmo contraddirlo, eppure, ci sono ancora troppi uomini che non lo conoscono. Ed è per questo che esiste questo film.

Viviana Raciti

Questo articolo è apparso, su Move in Sicily.Per gentile concessione.

Gli uomini di questa città io non li conosco
2015 ‧ Documentario ‧ 1h 55m
Anteprima nazionale: 10 settembre 2015
Regista: Franco Maresco
Musica composta da: Salvatore Bonafede
Montatore: Franco Maresco
Cinematografia: Tommaso Lusena
Sceneggiatura: Franco Maresco, Francesco Guttuso, Claudia Uzzo

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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