British Library Sounds è il progetto di digitalizzazione dell’archivio audio della British Library, che conta più di 3 milioni e mezzo di registrazioni. Dalla storia dei dialetti ai versi degli animali. Fino alle arti performative.
Immaginate di attivare un registratore nel 1890 e di lasciarlo acceso per centoventi anni. Il vostro archivio sarà immenso e conterrà dalle conversazioni al mercato alle dichiarazioni che hanno fatto la Storia. E ora si può riascoltare attraverso una semplice applicazione online.
È già di qualche mese fa la notizia che, attraverso un complicato processo di acquisizione di copyright che è ancora in atto, la British Library di Londra ha archiviato, digitalizzato e messo a disposizione del pubblico circa 50.000 file audio. British Library Sounds è il nome del sito web che permette di navigare attraverso questo prezioso tesoro – che tuttavia costituisce solo una selezione di circa 3 milioni e mezzo di registrazioni raccolte fin dai primi esperimenti di fonografia (il cui catalogo è consultabile qui).
Si tratta di contributi riguardanti musica, teatro, letteratura, storia orale, registrazioni ambientali di ambienti naturali.
Come si legge sul sito, finanziata dal Joint Information System Committee (JISC) nel Programma di Digitalizzazione, tra il 2004 e il 2009 la British Library aveva già digitalizzato «decine di migliaia di registrazioni di musica, parola e suoni ambientali appartenenti al BL Sound Archive». Il progetto Archival Sound Recordings (ASR) acquisisce oggi il nome di British Library Sounds, che presenta anche una nuova piattaforma divisa per aree tematiche.
Di agile consultazione, l’archivio comincia con il documentare le innumerevoli forme della lingua inglese, ripercorrendo attraverso accenti e specifici dialetti l’intera evoluzione contemporanea di una lingua che, dall’epoca coloniale in poi, è rimasta quella veicolare di questa Europa che non conta più neppure la Gran Bretagna tra i propri membri. Dalla musica classica di maestri come Bach, Beethoven, Haydn e Mozart si passa alla storia orale del jazz britannico, al cabaret, alla musica popolare da tutto il mondo, fino all’intero podcast delle maggiori emittenti radiofoniche. Si può ascoltare i ruggiti dei leoni e degli orsi, gli ululati dei lupi e il canto di centinaia di specie di uccelli così come li avevano registrati i primi esploratori contemporanei, mentre la sezione di Storia Orale è ulteriormente suddivisa in 21 categorie come scienza, artigianato, architettura, arte e fotografia, cibo e una generosa overview degli anni Ottanta della grande isola. Non manca poi un’area di approfondimento sul sistema stesso di registrazione e sulla sua evoluzione.
Una delle sezioni più nutrite è proprio quella di arte, letteratura e spettacolo. In mezzo all’African Writers’ Club, alla fotografia, alla poesia e alla sua traduzione e all’archivio delle conferenze dell’Institute of Contemporary Arts (ICA) e dei dibattiti alla chiesa St. Mary-le-Bow di Londra, siamo andati a scorrere più da vicino la categoria Theatre Archive Project, realizzata in collaborazione con la De Monfort University. L’obiettivo è quello di «tornare a investigare la storia del teatro tra il 1945 e il 1968 dalla prospettiva sia dei professionisti che degli spettatori». Navigando le sottocategorie (Attori; Danzatori; Registi; Manager; Produttori; Scenografi; Spettatori; Performer di varietà; Scrittori e critici) si può incontrare la voce di Harold Pinter che parla del teatro britannico al microfono di Harry Burton; quella di Laurence Olivier in un’intervista del 1983; o decine di voci di spettatori che commentano titoli storici dei cartelloni del West End, tutti con tanto di trascrizione scaricabile.
Certo, stiamo parlando di una tradizione che non ci appartiene del tutto, confinata nelle latitudini britanniche, ma abbondano i riferimenti alla temperie culturale internazionale, così come percepita da professionisti e appassionati. E, a guardare i progetti futuri – che, grazie a partnership con enti pubblici e privati e scuole e università, mirano a digitalizzare entro il 2030 l’intero patrimonio acustico del paese salvandolo dalla minaccia del tempo – ci sarebbe da raccogliere l’esempio e farlo nostro. Sappiamo che gli archivi di audiovisivo (grazie al lavoro delle cineteche nazionali) e di storia orale in questo paese non mancano. Un ottimo esempio sullo specifico teatrale è il Progetto Ormete, ideato e diretto da Donatella Orecchia (Università degli Studi di Roma Tor Vergata) e Livia Cavaglieri (Università degli Studi di Genova), sostenuto dal Mibact e Ebraismo Culture Arti Drammatiche (ECAD).
Ma non si è ancora assistito a un così massivo intervento da parte dello Stato, in grado di unificare gli sforzi verso la conservazione di un patrimonio. Perché, si sa, la conoscenza del passato è il primo passo per l’invenzione del futuro.
Sergio Lo Gatto