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Spettacolo dal Vivo: un settore in cerca di unità

Lo Spettacolo dal Vivo è in fermento e in attesa del 21 luglio, data in cui il Consiglio di Stato si pronuncerà sul D.M. 1 luglio 2014. Intanto gli operatori del settore con appelli e raccolte firme misurano la propria capacità di essere uniti

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Broadway, attori in sciopero, 1919. fonte: www.americantheatre.org

Il teatro italiano legato ai finanziamenti pubblici – direttamente o indirettamente – è appeso a un filo da settimane. In molti sono rimasti sorpresi dall’ultima mossa del Ministero: la pubblicazione di un appello firmato da un centinaio di soggetti (con alcune smentite successive) in difesa del Decreto Franceschini. A questo appello, apparso sul sito del Mibact e che ha prodotto l’effetto opposto, ha risposto il collettivo Facciamolaconta.

Ma procediamo con ordine. Il 28 giugno il Tribunale Amministrativo del Lazio ha accolto i ricorsi del Teatro dell’Elfo e del Teatro Due di Parma dichiarando il Decreto Ministeriale del 1 luglio 2014 illegittimo. I giudici hanno smontato il regolamento evidenziando le criticità legate soprattutto ad alcune questioni: il peso eccessivo degli indici quantitativi (è stata citata anche la relazione della Commissione Prosa), l’utilizzo degli algoritmi che per il Tar rappresenta «un’abdicazione al difficile ma ineludibile compito di una valutazione (percentualmente ma anche sostanzialmente) adeguata del fattore qualitativo» e, non da meno, la problematica giuridica (alla quale sembra che stiano tentando di porre rimedio). Secondo la sentenza questo Decreto Ministeriale ha una incisività tale rispetto al settore a cui è rivolto che nella sostanza si comporta come una legge, ma appunto non lo è perché, come ha spiegato il Presidente della Commissione Prosa Lucio Argano, ciò che manca è proprio una legge quadro sullo Spettacolo dal Vivo. Facciamo un esempio semplicissimo: il D.M. Franceschini crea dal nulla i Teatri Nazionali senza però spiegare cosa sia un’istituzione teatrale nazionale. Secondo quale processo culturale il Ministero è arrivato a questa definizione? Ecco che, non essendoci una legge alle spalle, il decreto regola le caratteristiche produttive di questi teatri ma non ne definisce la storia, il ruolo nella società, gli eventuali paradigmi culturali su cui dovrebbero fondarsi.

Parentesi tecnica chiusa, torniamo ai fatti. Il 2 luglio il Ministro riesce a ottenere dal Consiglio di Stato la sospensione della sentenza del Tar fino al giudizio del 21 luglio. Ossigeno. Sì, perché intanto gli addetti ai lavori giustamente erano sul piede di guerra, alcuni cominciavano a fare le valigie per Roma con l’intento di bussare direttamente al Ministero per chiedere spiegazioni. L’attuazione del decreto ha cambiato nella sostanza la vita di molte persone, alcuni hanno modificato la propria impresa, altri si sono fusi tra di loro, piccole realtà under 35 si sono messe sulle spalle un carico di lavoro non indifferente pur di entrare nell’élite dei soggetti finanziati; insomma in molti si sono presi quella responsabilità che il Ministero richiedeva a fronte di una minima stabilità economica. In questo senso il decreto aveva fatto piccoli passi in avanti rispetto al passato, finanziando alcuni tra i migliori festival del Paese, aprendo appunto il Fus alle giovani compagnie e a quei soggetti che da anni lavoravano indipendentemente sul nuovo pubblico. Emblematico il caso dell’osservatorio critico Altre Velocità che, a fronte di un piccolo contributo, sta svolgendo un lavoro di pregio nelle scuole dell’Emilia Romagna. Ecco, proviamo a metterci nei panni di questi soggetti finanziati per la prima volta e che da un momento all’altro vedono la possibilità che tutto si fermi, crolli, nonostante gli sforzi.

Intanto però accade qualcosa di strano. Il 7 luglio sul sito del Ministero appare tra i comunicati stampa un dispaccio intitolato “Fus: oltre cento nomi dello spettacolo al Ministro Franceschini, no a stop riforma”. Cliccando sulla pagina appare un virgolettato: «Ecco l’appello con cui il mondo dello spettacolo chiede al Ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini di proseguire nella riforma dello spettacolo».

Qui le nubi si infittiscono perché chi fa il nostro mestiere ed è abituato a pesare parole e logica sa perfettamente che quell’espressione “il mondo dello spettacolo” non vuol dire nulla. È un’espressione priva di senso usata spesso dai colleghi che appunto hanno dimenticato di pesare le parole iniziando a usare locuzioni vuote. Per scoprire quale sia l’origine di questo appello bisogna aprire un allegato pdf, una lettera dell’Agis indirizzata al Ministro, eccone una parte:
«[…]Il blocco di un intero sistema, seppur causato dalla legittima richiesta di tutela di interessi particolari, non può essere in alcun modo condiviso. Con questo spirito, molti operatori culturali hanno ritenuto di sottoscrivere spontaneamente un appello e mi hanno chiesto di portarlo alla Sua attenzione, consapevoli della necessità di proseguire sul cammino delle riforme». Tra i firmatari appaiono una serie di enti musicali e poi una sfilza di soggetti genericamente accomunati dalla dicitura “Appello della prosa”.

La meccanica degli avvenimenti può far sorgere parecchi dubbi di carattere etico, in quanto il Ministero non avrebbe bisogno di difendersi con appelli messi in moto da un’associazione di categoria, o almeno dovrebbe tenere conto di tutti gli appelli, ché un Ministero deve curare le sorti del popolo tutto non di una parte, altrimenti qui il rischio, come in molti hanno ravvisato, è di creare divisioni tra i lavoratori dello spettacolo (ulteriori, oltre a quelle già presenti).

Come se non bastasse, a rendere la situazione ancora più strana arrivano le smentite di alcuni attori e attrici (affidate a relativi post su Facebook) che hanno trovato il proprio nome tra i firmatari della lettera dell’Agis senza, a quanto pare, aver mai accettato di partecipare. Sia chiaro, non ci sarebbe stato niente di male a firmare un appello che tra l’altro esprime anche concetti condivisibili. Il problema forse è che a quel documento è stato affidato un valore assoluto, quasi di scudo nei confronti dell’operato del Ministero.

Anche il neonato gruppo di attori Facciamolaconta ha notato le contraddizioni con cui è stata gestita la faccenda e ha preparato un altro appello, rivolto all’unità del settore, che ci racconta finalmente della nascita di una piccola comunità: sono più di ottocento infatti le firme in calce alla riflessione del collettivo di attori. E il documento chiude rilanciando proposte condivisibili soprattutto se pensiamo allo statuto dell’attore oggi e alla totale assenza di cura per questa categoria nel D.M.:

– Pur d’accordo che sia importante parlare delle risorse – unica possibilità di portare avanti il sistema – continuiamo a sollecitare una trasformazione nella visione dei fondi pubblici, da mezzo per ripianare deficit a investimento. Allo stesso tempo chiediamo una politica di controllo anche a posteriori delle risorse utilizzate, stabilendo principi di equa ripartizione per i diversi settori, amministrativo, tecnico e artistico.

– Chiediamo altresì che il CCNL sia ridiscusso e poi sia fatto obbligo per le imprese di rispettarlo, senza scuse o defezioni, pena decurtazioni o perdita del FUS.

– Chiediamo infine con fermezza il riconoscimento giuridico della natura atipica dell’attore, premessa fondamentale per mantenere la dignità dei lavoratori e per creare quelle tutele che si sono ormai perse.

Ma è soprattutto l’appello all’unità del settore il tratto positivo di questa e di altre riflessioni (si legga quella di Lorenzo Donati, ad esempio). Il dibattito sano, aperto alla comprensione rischia di essere schiacciato in una battaglia senza quartiere che, come spesso accade nei social network, polarizza le parti in un pro e contro la Riforma privo di senso: il D.M ha alcuni pregi e altrettanti difetti. La superficialità divide, l’approfondimento ha bisogno di pazienza ma avvicina anche posizioni apparentemente lontane. È facilissimo spaccare un fronte che potrebbe essere unito, ma che spesso si muove tra piena solidarietà, cinico egoismo e disincantato isolamento.

Andrea Pocosgnich

Leggi anche:

Riforma Fus: la legge dei grandi numeri

Tutti gli interventi di #inchiestaFUS

Scarica il documento con la Relazione finale della Commissione Teatro per il 2015

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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