Teatro in video 33° appuntamento. Il Théâtre du Soleil inaugurò con 1789 la propria storica sede La Cartoucherie di Parigi. Un estratto della messinscena.
Nel 1970 i Beatles si scioglievano pubblicando Let It Be, Salvador Allende veniva eletto presidente del Cile, Mu’ammar Gheddafi diventava capo di stato in Libia, nella Germania Ovest nasceva il gruppo armato Raf; la navicella Apollo 13 rientrava alla base con l’equipaggio in salvo mentre a Washington più di centomila manifestavano contro la guerra in Vietnam, la Francia si rifiutava di firmare il trattato di non proliferazione nucleare e la storia del rock ricominciava all’isola di Wight fra più di mezzo milione di persone, proprio pochi mesi prima che fosse trovato morto Jimi Hendrix.
Dopo una fase peregrinante, nello stesso anno con 1789 (di cui cui proponiamo un estratto) il Théâtre du Soleil inaugurava la sua sede ormai storica a La Cartoucherie, ex fabbrica di munizioni nel bosco di Vincennes, alla periferia orientale di Parigi. Lo spettacolo, primo costone di un dittico (del 1972 è il secondo 1793), è racconto della Rivoluzione Francese scevro di qualsivoglia retorica celebrativa in cui il filo narrativo si accentra non nelle mani dei protagonisti usuali, illuminati fautori o vittime regali, bensì in quelle del popolo con la sua percezione di quanto accade, guardandolo. Lo spazio scenico, pensato inizialmente da Roberto Moscoso sul prototipo dimensionale di un campo da basket con la dislocazione di cinque palcoscenici diversi contemplanti la discesa degli interpreti fra gli spettatori, diventa una sorta di fiera ove la Rivoluzione si riferisce, si riporta attraverso proclami, canzoni, pantomime di giocolieri e saltimbanchi sul confine dello straniamento.
L’abolizione di una struttura gerarchica con conseguente vita in comune e identica retribuzione salariale per tutti i membri, il modello di un teatro realmente popolare, quindi la ricerca di decostruzione dei canoni di fruizione della performance, la tensione alla creazione collettiva con l’attore quale nucleo vitale pulsante, la sua centralità di ispirazione artaudiana, la primarietà dell’improvvisazione e del corpo – organolessi letterale e traslata sul piano semantico –, e ancora lo sguardo al presente, al passato, alla storia non solo del teatro come presupposti da cui trarre una riconsegna sintetica, realmente critica e allo stesso tempo realmente artistica dei loro materiali: sono questi alcuni dei fattori che hanno reso il collettivo fondato a metà dei Sessanta da Ariane Mnouchkine, Philippe Léotard ed altri allievi de L’École Internationale de Théâtre Jacques Lecoq una delle realtà più incisive e longeve del contemporaneo.
Marianna Masselli
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