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Elena Bucci, memorie dai conflitti

I colloqui con la cattiva dea di e con Elena Bucci all’interno del progetto Guerre/conflitti/terrorismi al Teatro India. Recensione

Foto Maurizio Montanari
Foto Maurizio Montanari

Si è concluso ieri al Teatro India il progetto Guerre/conflitti/terrorismi, quasi un mese dedicato al racconto di guerra, di quella Grande Guerra che per prima sconvolse il Novecento, spaccando l’Europa e con essa il mondo intero. Se a conclusione sono state tre voci maschili (il trittico Uomini in trincea con tre spettacoli distinti di Baliani, Cederna e Perrotta) l’apertura ha visto l’intervento di due sguardi al femminile: oltre al lavoro di Marta Gilmore, Friendly Feuer, anche Le belle bandiere di Elena Bucci, voce per i Colloqui con la cattiva dea. Vorremmo tuttavia tralasciare questa cesura di genere, che non rende giustizia a nessuno dei lavori i quali, ciascuno a proprio modo e secondo le proprie personali poetiche artistiche, affrontano il tema facendolo esplodere in una drammaturgia a più voci, basandosi sulla pluralità delle testimonianze, piccole o grandi a seconda del punto di vista prescelto, ma interrogandosi sempre sulla rielaborazione della memoria per uno degli eventi chiave della nostra storia recente.

Nello spettacolo di Bucci, lo portiamo a titolo d’esempio, prendono corpo vocale e sonoro momenti di vita quotidiana di coloro che sono stati travolti dalla guerra, la cattiva dea. Attraverso una densa ricerca in archivio che tocca tutta l’Italia, in un flusso continuo e senza interruzione di ruoli non sono soltanto mogli, madri, amanti che attendono ad acquisire dignità di parola, il racconto è anche quello degli analfabeti che nell’esperienza militare diventano scrittori; sono disertori, condannati per una parola di troppo, forzati tutti a una dimensione comunicativa sconosciuta proprio per abbreviare quella distanza umana imposta dal fronte, da questa cicatrice perennemente aperta. A rendere coeso il racconto, se non bastasse la capacità espressiva dell’artista ravennate, contribuisce certamente la presenza della fisarmonica di Simone Zanchini, che si fa assieme urlo e bisbiglio dei morti e dei vivi, e che, tra rivisitazione di classici, musica patriottica e gusto musicale puro, differenzia drammaturgicamente il corpo dei bassi (quasi una mitraglia in campo) dai vibrati melodici quasi fossero dei personaggi. Non è un caso che il musicista sia centrale, attorniato da una serie di praticabili sui quali agirà Elena Bucci, seta cerulea e guanti bucati, testimone di una Belle Époque appena finita.

Foto Maurizio Montanari
Foto Maurizio Montanari

Fuori dall’ambito storiografico, notiamo però un’eccessiva distanza dal nostro odierno immaginario: è cambiato il modo di fare le guerre, i testimoni diretti non ci sono più e quei pochi con i quali ci è capitato, nel tempo, di entrare in contatto lamentavano una disattenzione alla loro fame di condivisione, fatti passare per “quel fissato con la guerra di un secolo fa”. Come rendere allora la distanza una vicinanza, fare del bisogno, catartico, terapeutico, e tuttavia solitario, un punto di emergenza comune, trasformativo per la collettività? Lo è sicuramente, e non solo negli intenti, un’operazione come questa, anche se bisogna attestare una latente debolezza che raccoglie testimonianze ma poi non esplora gli interrogativi di cui pure si fa carico, li lascia come dato storico a scorrere in un canale emotivo ma non scioglie l’uno nell’altro, come forse un passaggio in arte potrebbe suggerire.

Facciamo i conti con un altro punto, quello della eccessiva velocità con la quale entriamo in contatto coi i dati (e non faccio distinzione tra dato storico, culturale, artistico, d’intrattenimento) e la relativa disattenzione dedicata ad esse, che risulta ancora più amplificata in un Teatro India nel quale (oramai lo abbiamo denunciato da un po’, ma sembra non basti) si scorge non una sopravvivenza, ma un’esistenza a stenti, con una porta principale chiusa, lo spazio antistante pieno di impalcature. È vero, gettiamo il cuore oltre l’ostacolo e aggirando l’ex fabbrica, troviamo l’ingresso ed entriamo nella sala B del teatro. Quei praticabili, scuri, coperti da un velo nero, che attorniano il musicista, erano l’ostacolo per una luce che viene dal basso, che li fende fino ad arrivare al nostro sguardo in platea. D’accordo, finché rimaniamo all’interno del processo artistico, non quando a gettare ombra è una noncuranza del sistema.

Viviana Raciti

Roma, Teatro India – maggio 2016

COLLOQUI CON LA CATTIVA DEA
piccole storie dalla Grande Guerra

una drammaturgia in musica
di e con Elena Bucci
musiche originali dal vivo alla fisarmonica di Simone Zanchini
luci di Loredana Oddone
cura, registrazione e ricerca dei suoni di Raffaele Bassetti
collaborazione ai costumi Marta Benini
foto Massimo Montanari, Elisa Ruggeri, Manuela Ruggiu
assistente all’allestimento Nicoletta Fabbri
Ravenna Festival 2014 e Le Belle Bandiere
con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Provincia di Ravenna, Comune di Russi

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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