Vocazione, atto quarto. Celestini Ventriglia sono già memoria di un teatro recente: Radio Clandestina e Otello alzati e cammina nella stessa settimana tornano in scena a Roma (Teatro Vittoria e Carrozzerie n.o.t.). Cosa accade quando il presente si fa memoria? Quando la nostalgia può offuscare la lucidità?
“Ora il tempo è un signore distratto, è un bambino che dorme”
Hotel Supramonte – Fabrizio De André
Il passato ha steccati di cartapesta, induce salti a distanze impreviste per l’occhio che ha la misura del quotidiano, si cade nel vuoto della sua ambivalenza tra l’apparizione del già stato e la promessa di ciò che verrà più prossimo possibile all’icona che il tempo avrà provveduto a santificare. Ha paura, simonenebbia, ha paura di incorrere nella frattura del tempo che scorre, nel dubbio insinuato lungo i canaletti della memoria, affluenti del tempo vegeto, che si ostina a chiamare presente. E che timore, quello di lasciarsi andare, perdere i sensi di fronte al trionfo, dei sensi! Quella volta, ce n’è sempre una, in cui sei stato catturato simonenebbia, quella volta che fu il primo e il solo amore, quella che hai trovato caldo nel posto più freddo si potesse.
Sarà diventato matto, simonenebbia? No, parla di teatro, parla di sé, qui, stavolta non può non parlare di sé, della paura che rivedere le case che abbiamo vissuto non sia rispondente alla fotografia che gli abbiamo fatto l’ultima volta che ci siamo chiusi la porta alle spalle. E questa paura, in teatro, è per quegli spettacoli che ci hanno fatto scoprire l’incanto, trasportandone semi lungo tutto l’arco della propria esistenza vigile di osservatore, testimone, filtro di sensibilità per occhi e cuori altrui.
Roma. In ogni caso. La città dove per la prima volta, per strada, hai visto Ascanio Celestini dire delle Fosse Ardeatine, per parole rubate a una storia orale di un fascino che il tempo se lo scorda; fu Radio Clandestina, su un palchetto rimediato sul retro di un parco polveroso, tra le bancarelle di braccialetti e libri usati al Festival Frammenti, molti anni fa, la volta che ti sei ammutolito di fronte al racconto, quelle mani che vibravano nell’aria, «grazie per la cortesia, grazie per la cortesia», una lucetta appena accesa in cima tra l’obolo alla storia e l’avvertimento che ti ha reso indietro. «Quella volta, quella volta lì», sei corso a casa a non dormire, a sentire le smanie di un letto inospitale, perché solo su un foglio di carta avresti trovato pace, là dove un racconto innescò inconsapevole un mestiere, rese quieta la notte, ebbra la vita.
«Celestini si siede e avvita una delle lampadine malferme sopra la sua testa, guarda verso il pubblico e si mette a raccontare […] Poi il racconto termina, il contastorie svita la lampadina fioca e si rialza in piedi» così scrivevi e parve semplice, ciò che stava nel mezzo, ma dalla luce al buio il racconto è una scenografia di verbo, l’apparizione di mondi ed esistenze rievocate proprio lungo il corso del fiume più regolare, la memoria, la stessa, cui oggi torno io.
E poi il Rialto Sant’Ambrogio. Te lo ricordi, simonenebbia? Quel posto dove hai visto nascere, crescere, dove sei nato e cresciuto anche tu. Fu qualche tempo dopo. Quando avete visto in due soli, tu e la più bella compagnia, lo stelo al vento di Gaetano Ventriglia, quella volta con il personale Amleto di nome Kitèmmurt, poi la volta dopo con l’Otello alzati e cammina. Lo stelo, al vento. Figura stilizzata come tracciata sul muro fondale, emaciato e con “la morte negli zigomi” che aveva Eduardo, ma non c’è vento, in teatro, o forse sì, a Cipro ne tira tanto e il mare lì, si sa, «è sempre stato una merda» pur se visto col cannocchiale; ma ci vede chiaro, Otello? Soffia, il vento, ci passa dentro una “mosca” che ronza nel testo di Shakespeare, quelle parole necessarie se sporcate dalla bocca foggiana, «il dolore di un testo – dicevi – vergato sulla propria pelle»; la bocca sputa esigenza, esistenza, che in teatro sono la stessa identica cosa. Ventriglia ha quella forza indicibile della verità, sulla scena, proprio perché non è possibile credergli: non sarà Desdemona, tanto meno potrà diventare Otello, potrà però incarnare entrambi, essere loro, non dover diventare. E lì simonenebbia ha capito questa cosa del personaggio, in cui non si entra, ma che si permea, fino a disfarsi in esso e dirsi, teatro.
Fu ingenuità o purezza? Incanto o alienazione? Cosa fu, simonenebbia, quel che oggi chiami timore? Fu la scoperta di una prossimità, tra palco e platea, tra te e la scena non erano che pochi centimetri, talvolta, nel buio e nella luce si era in posti sempre diversi, ti ricordi? Hai saputo da lì in poi che questo “facciamo che io ero” era solo un gioco e tu proprio per quello ci avresti creduto, che la lampadina non può far luce per tutti sulla storia del Novecento, e invece sì, che il mare non c’è ed è solo il rumore, e invece sì, hai saputo che di là da te c’era qualcosa che eri tu, lo stesso. E che da lì, ormai, non te ne andavi.
Simone Nebbia
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TEATRO VITTORIA
03 Maggio 2016 – 08 Maggio 2016
RADIO CLANDESTINA
di e con Ascanio Celestini
suono Andrea Pesce
produzione Fabbrica srl
Ore 21
CARROZZERIE N.O.T.
06 Maggio 2016 – 07 Maggio 2016
OTELLO ALZATI E CAMMINA – A BORDO, A BORDO… ANGELI!
di e con: Gaetano Ventriglia
una produzione Compagnia Garbuggino/Ventriglia | Armunia | Rialto Santambrogio
Ore 21