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Caryl Churchill. In morte della famiglia

Caryl Churchill, autrice britannica contemporanea, con Caffettiera blu arriva all’Angelo Mai di Roma. Per la regia di Giorgina Pi. Recensione

Caryl Churchill
Foto Valeria Tomasulo

Uno dei valori principali di chi fa teatro risiede nella capacità di ricercare ciò che parla dell’uomo e metterlo in scena affinché proprio all’uomo parli. Per meglio dire, l’amore che si ha per il teatro, spesso, ha le forme di un’indagine conoscitiva, certo, ma non meno emotiva, partecipata, che lo traducano proprio in amore per l’uomo. È per questo che l’impegno indomito di chi non riesce a non fare teatro è scovare ciò che è meno noto ma che si ritiene possa dire qualcosa di determinante per la società tutta, a partire dalla comunità di appartenenza. Questa intenzione muove esperienze ripetutamente colpite ma mai a morte come quella dell’Angelo Mai di Roma, dove ha trovato casa un progetto dedicato a Caryl Churchill, autrice britannica contemporanea, di grande esperienza e valore internazionale ma da noi pressoché misconosciuta, le cui parole suonano, si ergono, si rompono, dentro una cupa Caffettiera blu.

È la storia di Derek (inquieto e affilato, Mauro Milone), giovane o non troppo, che ha il particolare passatempo di andare a caccia di vecchie signore (lussuose le interpretazioni di Aglaia Mora e Sylvia De Fanti) con un segreto in comune: aver dato un figlio in affidamento in giovane età, senza averlo mai rivelato alla famiglia che hanno poi mantenuto o ricostruito, dopo quel gesto, che fosse d’amore o d’abbandono. Ma in comune, a quanto pare, non hanno solo un destino, una vicenda; hanno anche il figlio. Già, perché Derek si presenta loro ogni volta come fosse il pargolo perduto che ormai quarantenne si ingegna per trovare il grembo da cui è stato rimosso. Da una reazione diversa, di ogni madre, la sua: conciliante, benevola, perché sia reso degno rispetto, comprensione, all’amore e alla rinuncia. Ognuno dei dialoghi innesca la stessa sensazione e sarebbe certo un nobile ricongiungimento, se le madri non fossero però così tante, ognuna raggirata per “imbroglio”, per “soldi”, dice Derek, che una madre (Simona Senzacqua) ce l’ha, chiusa in un reparto geriatrico alle prese con l’Alzheimer. Ma non solo, una madre. Derek ha una fidanzata (Laura Pizzirani) dolce ma sbandata, che lo appoggia e lo contrasta con la stessa distrazione. Ecco, dunque, come Derek che ha tutte queste madri, una ragazza, rivela passo dopo passo di avere anche altro: una psicosi, piuttosto complessa.

Caryl Churchill
Foto Valeria Tomasulo

Nel mezzo di una platea disposta lungo il perimetro di quattro lati, la scena immaginata dalla regia di Giorgina Pi è una sorta di scatola semivuota, con solo un tavolo e alcune sedie occupate dai protagonisti dei dialoghi, in cui l’ambiente sonoro di Valerio Vigliar e il testo possano esplodere tutta la loro carica di progressivo smembramento: del sentimento, della psiche, della relazione, del rispetto, della parola. Già, perché il progetto di Churchill dispone che il contenuto, questo tema così forte di sfilacciamento graduale del senso di contatto umano, familiare, replicabile in occasioni e modi diversi, sia anche derivato della forma, ossia che le parole del testo pian piano accolgano, una scena via l’altra, i due termini del titolo: “caffettiera” e “blu”, declinati secondo necessità a innervare le frasi in maniera apparentemente incomprensibile e reiterata, ma che mai impedisce di carpire il senso più esplicito della locuzione.

Il graffio di Caryl Churchill si distingue dal calco di una scrittura pungente, in cui anche le poche apparenti consolazioni non siano altro che una possibilità diversa di dichiarare, e così rifiutare, il disagio dell’esistenza; la carica linguistica rafforza l’idea di un teatro “non normale, non rassicurante” (che è anche il nome dell’intero progetto), capace di comporre un’evoluzione per ossimoro che da un progresso di complicazione strutturale, drammaturgica, dunque, intravede e consegue un regresso sensibile, esistenziale, umano. C’è profondo bisogno, va detto oltre misura, ripetendo ciò che avrebbe tutto il diritto di essere un diritto inviolato, di esperienze di indagine, ricerca, che tengano insieme attori di livello (va ricordato anche il buon apporto di Gian Marco Di Lecce) e quella complessità di composizione fin troppo violata, oggi, dal ricorso a prodotti digeribili, quando non, già, digeriti. Da seguire, per passione, per volontà, per appartenenza. Sempre, comunque, dalla stessa parte.

Simone Nebbia

Angelo Mai Altrove Occupato, Roma – aprile 2016

C A F F E T T I E R A B L U
di Caryl Churchill
con Sylvia De Fanti, Gian Marco Di Lecce, Mauro Milone, Aglaia Mora, Laura Pizzirani,
Simona Senzacqua
voce fuori campo Marco Cavalcoli
costumi Gianluca Falaschi
dimensione sonora Valerio Vigliar
regia Giorgina Pi
una produzione BLUEMOTION/ANGELO MAI con il sostegno di SARDEGNA TEATRO
all’interno del progetto NON NORMALE, NON RASSICURANTE. IL TEATRO DI CARYL CHURCHILL

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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