Borrelli-Saviano in Sanghenapule – Vita straordinaria di San Gennaro di Roberto Saviano e Mimmo Borrelli in scena al Piccolo Teatro di Milano. La recensione
«Questa è la storia in cui la verità è leggenda; e la leggenda è verità».
Sono queste le parole con cui Roberto Saviano apre Sanghenapule – Vita straordinaria di San Gennaro, canto e documento dello scrittore ideato con Mimmo Borrelli per il Piccolo Teatro di Milano, in dedica alla città di Napoli. Ma tra le due categorie c’è un legame ancor più stretto e pertiene alla forma scelta per evocare l’appartenenza a quell’anima partenopea: il teatro, luogo in cui verità e leggenda si appaiano in unica soluzione. Coro uniforme di voci sovrapposte e servili non alla storia in sé, ma alla percezione di un ascolto bipartito: da un lato quello piano, delimitato, del documento, dall’altro quello poetico, multiforme, del canto. Su questi due piani poggia l’equilibrio di uno spettacolo affascinante, partitura modulare dentro la quale si compie il miracolo di due linee parallele, il cui incontro è negato dalla teoria di una ben precisa legge fisica, che invece si toccano, si intrecciano, liberano istinti in un racconto viscoso e possente.
San Gennaro, emblema di una città intera ma più ancora di chi la abita. È sua la storia scelta per rappresentare l’evoluzione di una civiltà senza eguali nel mondo, vittima di sé stessa e assecondata da una contraddizione perenne, avvinta a quell’intima essenza in cui sempre riconoscere il carattere di una città. E Napoli ha un carattere indomabile, magmatico come la minaccia che la sovrasta, quel Vesuvio che è secondo protagonista del racconto e dal quale trae origine proprio il culto del santo, chiamato a proteggere i napoletani dalle sue continue devastanti eruzioni. Ma se la vita di un santo, morto innocente e martire la cui reliquia ematica è stata fatta salva dalla vecchia nutrice, dona una venatura leggendaria alla storia, è la percezione dei futuri devoti a storicizzare la leggenda stessa, fissando in quel 19 settembre – a Napoli e nel mondo dove gli osservanti del culto sono 25 milioni – il giorno di un rito cabalistico, per cui si prova timore e attrazione, una scommessa anno per anno determina l’attesa di benessere o sventura.
Sembra di essere sottoterra, sotto il piede e il pensiero dei viventi, per via di quella radice tentacolare che quasi non vista sovrasta sospesa la scena. La struttura circolare di mura curve ruota attorno alla circonferenza, creando, grazie anche alle musiche di Gianluca Catuogno e Alberto Della Ragione che vi si innervano con qualità di visione architettonica, ambienti ogni volta diversi in cui Mimmo Borrelli sprigiona – sì, non è opportuno altro termine da questo – la propria poetica andatura, che coglie in sé il corpo e la parola, genesi e compimento di una presenza mai ostentata eppure innegabile. Le luci, lumini sparsi e fiochi, sono disposte lungo il fondo e le pareti esterne dello spazio scenico, secondo un ordine irregolare; due mezzi fusti di colonne lisce, segate ad appena qualche decina di centimetri dalla base, come gambi recisi, restano di fianco alle mura circolari, Roberto Saviano le siede voltandosi verso il palco, in ombra, quando la scena si ravviva, oppure in luce, fronte alla platea, quando tocca a lui rendere contesto all’urlo della poesia, abilissimo a fornire appigli per una lettura verticale nella storia, orizzontale nel tempo contemporaneo.
Ma alle vicende del santo e della montagna lavica se ne intrecciano altre due che hanno segnato la storia napoletana: l’emigrazione di intere generazioni verso l’America trasognata e deludente, lasciata la terra negli occhi di un saluto fugace, nel filo di un gomitolo presto strappato ma la cui foggia resiste nella dispersione in altri mondi dei propri costumi; infine il punto nevralgico di quella rivoluzione giacobina e intellettuale che nel 1799 riuscì per un poco a sovvertire il regno borbonico e che nelle parole di Saviano torna come una possente spinta ad agire, in un tempo, questo, refrattario alla rivolta.
La lingua di Borrelli, che cerca di riprodurre il suono del parlato dei primi secoli unendo latino e italiano in un mélange compenetrato, e quella di Saviano invece dotta e sicura nel dotare lo spettatore di informazioni mai eccedenti, pur essendo differenti per origine e per qualità stilistica, hanno in verità la stessa missione nell’estirpare la retorica aderente al pensiero comune, il più delle volte privo di sfumature, che amplifica le sofferenze di Napoli. Nel regno dove contraddizione e ludibrio convivono apertamente, in cui manca tra moto e stasi una fase intermedia, l’attesa della gioia e della sventura si fanno speculari, come ombra e luce si guardano l’una l’altra, prive di sospetto, prive di giudizio, anime filamentose a farsi trama fitta di un lirico, leggendario racconto.
Simone Nebbia
Visto al Piccolo Teatro Grassi, Milano – aprile 2016
SANGHENAPULE
Vita straordinaria di San Gennaro
testo e drammaturgia Roberto Saviano e Mimmo Borrelli
regia Mimmo Borrelli
con Roberto Saviano e Mimmo Borrelli
musiche, esecuzione ed elettronica Gianluca Catuogno e Antonio Della Ragione
scene Luigi Ferrigno
costumi 0770
luci Cesare Accetta
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa