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Fuckin’ Idiot. Confessioni di un ultrà

Al Teatro Studio Uno Fuckin’ Idiot di Federico Ciancaruso, Cristiano Di Nicola, Simone Giustinelli. Recensione

Foto Simone Galli
Foto Simone Galli

«Io scelgo per me, sono libero dentro».
Se a pronunciare questa frase fosse un uomo che abbia coscienza della propria responsabilità decisionale, voce in un discorso collettivo, veto in una possibile democratica discussione, allora le parole prenderebbero il volo e si ergerebbero a diventare simboliche ed esemplari. Ma se a pronunciarle è un uomo sotto l’effetto di un’ebbrezza febbrile che riconosce una comunità come branco d’appartenenza, mosso da fideismo oscuro, appena appena ridotto in fondamentalismo, allora le stesse parole prendono un valore quasi catartico, diventano – per il paradosso prodotto con la stessa ebbrezza – quasi un vanto contrario, una vanità irriducibile, il dissennato vezzo di chi mostra le catene che stringono la propria libertà come proprio fossero una dichiarazione di libertà.

Fuckin’ Idiot pronuncia quella frase. L’ha fatto al Teatro Studio Uno di Roma per la bocca di Federico Ciancaruso, attore e autore con Cristiano Di Nicola e il regista, Simone Giustinelli, con debiti al testo Ultrà di Giuseppe Manfridi curato dalla drammaturgia di Sonia Di Guida.
In conclusione di un monologo isterico e desolato del tifoso di calcio alla sua gente, alla sua squadra, ai suoi miti. Insomma, a sé stesso. O al massimo al pesce rosso che non dispensa giudizi né opinioni. La ferocia che gli muove dentro è direttamente proporzionale al disinteresse crescente che la società sembra mostrare verso lui come individuo o come parte di una collettività; bensì pare riconoscerlo come ingranaggio di una meccanica, come strumento di terrore e articolazione della supremazia, soldato indistruttibile di una guerra contro ignoti combattuta per mano di un’informazione incendiaria che sparge i semi della violenza.

Foto Simone Galli
Foto Simone Galli

È infatti attraverso il mezzo informativo che si attua la trasformazione. Entra a volto coperto, si sistema nella sua stanza sporca, quasi disumanizzata, tra lattine di birra vuote e cartoni di pizze mai digerite. Preceduto da un lungo montaggio video in cui sequenze di campo si alternano ad altre di scontri tra teppisti fuori dagli stadi, il tifoso di calcio, in vista di un cambiamento epocale, ossia la cessione di un calciatore a un’altra squadra, entra a contatto con il programma televisivo che sta dando la notizia; l’equivoco che lo coinvolge è lo stesso a ogni latitudine e lo spinge a considerare come un tradimento verso sé stesso, cioè verso un ignoto sostenitore, ciò che un’azienda-squadra di calcio determina secondo le proprie scelte aziendali. Saranno mai scelte autonome? Il potere di un proprietario sarà mai disgiunto dalla pressione prodotta dall’ambiente esterno?

Nella storia del capitalismo una squadra di calcio intesa come proprietà è un ibrido senza precedenti, a tal punto giunge la mescolanza di fede, attese, opinioni, supporto, rifiuto. Sembra cioè che l’ultima parola spetti a quella grande macchia informe che è la massa dei tifosi. Eppure a ben guardare, con una lente più acuta, dove pare attuarsi quel mutamento verso una rimostranza capace di imporre una scelta dall’esterno, proprio lì si certifica il consolidamento del potere che sfrutta l’istinto sfrenato e infantile, lo gestisce generando prima dissenso, poi violenza; il tifoso si sentirà derubato di ciò che mai gli è appartenuto, avvertirà il peso di tenere a qualcosa in cui non ha parte, di vivere visceralmente qualcosa che è deciso altrove. È dunque la frustrazione del limite, del non potersi opporre, a trasformare una passione in un morbo, così che il soldato non sceglie e diviene scelto, servile e suddito di un potere che non esiste e per questo si allarga a diventare informe, dilagante, infinito. Proprio in questo punto il lavoro di Ciancaruso/Di Nicola/Giustinelli situa il proprio valore, unitamente al proprio limite: definisce un’icona estrema della società, narra la trasformazione paradossale di un uomo in automa attraverso la violenza, pecca soltanto nel non riuscire a variare mai i toni febbrili, instabili del tifoso e più in generale a focalizzare del tutto – ancora – come tale meccanismo abbia superato i confini del calcio e si sia trasferito nella sfera sociale, politica, in una civiltà quale la nostra mai come ora minata da una forte carenza proprio in quella libertà di cui si dichiara ferma ambasciatrice.

Simone Nebbia
Teatro Studio Uno, Roma – dicembre 2015

FUCKIN’ IDIOT
di Federico Cianciaruso, Cristiano Di Nicola, Simone Giustinelli
drammaturgia Sonia Di Guida
con “Ultrà” di Giuseppe Manfridi
con Federico Cianciaruso
scena Cristiano Di Nicola
regia Simone Giustinelli
assistente alla regia Serena De Siena
assistente scenografa Antonia D’Orsi
installazione video Cristiano Di Nicola, Federico Palmerini
foto di scena Simone Galli
voce del presidente Marco Giustinelli
voce del conduttore Fabio De Stefano
installazione grafica Sofia Rossi
ufficio stampa Stefania D’Orazio
una produzione Justintwo

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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