Angélica Liddell in scena a Parigi con Primera carta de San Pablo a los Corintios Cantata BWV 4, Christ lag in Todesbanden. Oh, Charles! Pubblichiamo qui una riflessione personale, che potremmo definire una “mancata recensione”, di Gaia Clotilde Chernetich
C’è qualcosa di rarefatto e allo stesso tempo estremamente urgente nell’ultimo spettacolo di Angélica Liddell. È chiaro il senso di chiusura, di completamento di un ciclo. Lo spettacolo si lascia percepire come un suono molto grave, profondo, che vibra prima ancora di farsi teatro sulla scena, come se venisse da lontano. Una cascata di stoffe rosse occupa il palco, un’enorme riproduzione della Venere di Urbino di Tiziano ne è lo sfondo. Dopo una scena iniziale di solo movimento, in cui agiscono una donna e un uomo nudo dipinto d’oro, una canzone pop spezza l’aria riportando il senso del presente all’attenzione di ogni spettatore, come a voler dire: “ricordati che sei qui, adesso”. Nel silenzio perfetto che segue, sei grandi travi di legno cadono pesantissime dal cielo, una alla volta. Il loro tonfo è un segno, un colpo, una chiamata. Angélica Liddell entra in scena dalla destra del palco, si ferma di profilo, si accende una sigaretta. I capelli neri divisi da una scriminatura centrale le cadono quasi fino ai fianchi, sembra una santa, un’eretica, una condannata a morte. Indossando delle scarpe col tacco e un abito rosso lungo e pesante, parla dal centro della scena con le mani in tasca. A parte qualche movimento di sottolineatura con le braccia e con le mani, nel suo lungo monologo che è il cuore dello spettacolo, sta praticamente ferma. La sua è una presenza profonda. La sua voce emerge chiarissima, insieme al suo intento. Il suo inno all’amore non pone in questione, ma libera la percezione del sacro dalla superstizione, dalla malattia che la ricopre. Il suo mi è sembrato essere il tentativo di restituire Dio, la dimensione sacra dell’uomo, al suo significato di “essere d’amore”. Un amore che necessita del male per realizzarsi, un bene che per essere tale deve esprimere la frattura del suo essere. Il Cristo muore per la salvezza. E l’uomo deve, deve far morire il Cristo, per salvarsi ed arrivare a lui, per poterlo avvicinare. È la sua passione. A tratti ho avuto bisogno di chiudere gli occhi, per l’eccesso di bellezza del testo.
Dopo la fine del monologo purtroppo non so cosa sia accaduto sulla scena, perché sono svenuta. Ho intravisto una donna entrare con un vassoio e un laccio emostatico. L’uomo dorato ha sporto il braccio e – mi è stato detto – gli è stato prelevato il sangue.
Ho perso gli ultimi 15 minuti, dunque non posso raccontare di più. So che tre giovani donne si ritrovano coi capelli tagliati, alla fine. Come un sacrificio. Come sacrificio d’amore. Come la più grande delle domande, la più vertiginosa.
Per me questo spettacolo è pieno di rispetto, di cura, di amore. La lingua che parla non è quella dell’eresia, né quella della blasfemia, ma la lingua della libertà. Una libertà che non è neppure solo quella intoccabile dell’artista, ma quella di tutti, quella verso cui ciascuno a suo modo tende quando ci si avventura al di fuori di certi punti di vista preconfezionati, anche a nostra insaputa, specialmente sulla religione. Come se il senso della questione fosse solo il dibattito circa l’esistenza o meno di un dio da offendere o da adorare. La libertà di cui parla Liddell non mi sembra che sia “la libertà di credere”, ma “la libertà di parlarne e di fare delle domande”.
All’uscita della libreria del teatro, mentre aspettavo i miei amici Nicolas e David, un signore ha commentato come segue il fatto che stessi acquistando il testo dello spettacolo: «Se è ancora possibile fare spettacoli come questo, in Francia, vuol dire che siamo ancora in democrazia. Se avessero fatto uno spettacolo così sull’Islam, quella di questa sera sarebbe stata una carneficina». Non so chi fosse quel signore, ma io ho solo sorriso perché per una discussione non ne avevo ancora le forze.
In ogni caso penso che questo approccio alla questione sia falso e pericoloso. Da quando è che dobbiamo considerare la riflessione su Dio come un’eresia? Perchè questo è: una riflessione. A me sembra, invece, che la questione abbia più a che fare con la fascinazione che il potere non smette di avere sulle persone, una fascinazione subdola, subliminale, ma dura e accecante. Quasi quasi mi sembra che la cultura cattolica – più o meno laica – arrivi ad invidiare le restrizioni ancora vigenti nell’Islam estremista. È la quintessenza del “qui non c’è più religione”. No, non c’è più, ma non perchè in assoluto non ci sia più Dio, ma perchè non c’è più quell’apertura totale all’amore che, senza Dio, ci renderebbe folli. Contenere in sé stessi la contraddizione che porta al Bene in assenza di Dio, questa è la vera eresia di questo tempo. Forse Liddell voleva dirci questo. E allora torno a pensare che siamo davvero incapaci di vivere senza Dio, come comunità più che altro, perchè alla fine come singoli, con i nostri amori piccoli, più o meno in qualche modo ci arrangiamo.
“13. Maintenant donc trois choses demeurent : la foi, l’espérance et l’amour ; mais la plus grande des trois, c’est l’amour.”
“La folie de Dieu est-elle plus sage que celle des hommes ? La faiblesse de Dieu est-elle plus forte que celle des hommes ?
La haine est-elle une forme d’amour ?
L’amour sort-il de moi ou vient-il à moi ?
Deux qui ne sont pas aimés peuvent-ils vivre la tragédie de ne pas s’aimer mutuellement ?
…
Comment est-il possible, Seigneur, comment est-il possible que nous ne soyons pas tous fous d’amour ?”
Angélica Liddell, Le cycle des résurrections. Epître de saint Paul aux Corynthiens, traduit de l’espagnol par Christilla Vasserot, Les Solitaires Intempestifs, Besançon, 2014
Gaia Clotilde Chernetich
visto il 10 novembre all’Odéon – Théâtre de l’Europe, Parigi
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PRIMERA CARTA DE SAN PABLO A LOS CORINTIOS
Cantata BWV4, Christ lag in Todesbanden. Oh, Charles!
di Angélica Liddell
in Spagnolo e Svedese, sottotitolato
scenografia e costumi Angélica Liddell
luci Carlos Marquerie
suono Antonio Navarro Vera
traduzione in Francese Christilla Vasserot
con Victoria Aime, Angélica Liddell, Sindo Puche in alternanza con Ugo Giacomazzi, Borja Lopez
figuranti Carine Baillod, Emmanuelle Coutelier Yaya, Sonia Noya, Murielle Tanger
infermiera Cécile Beloeil
e Eléonore Baron, Hélène Beilvaire, Moïra Dalant, Saskia Maitrepierre, Marie Mottet, Catherine Richon, Louise Roux, Juliette Andréa Thierrée
durata 1h25′
creato il 19 marzo 2015 al Teatro di Vidy
produzione delegata Atra Bilis Teatro /Iaquinandi, SL
coproduzione Théâtre de Vidy, Odèon – Théâtre de l’Europe, Festival d’Automne à Paris, 68° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza – Comune di Vicenza, La Bâtie – Festival de Genève, Theater Chur, Künstlerhaus Mousonturm, Bonlieu Scène nationale Annecy