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Teatro Franco Tagliavini. Il “Caso Novellara”

Teatro Franco Tagliavini. Una riflessione sulla gestione dei teatri nell’epoca della riforma

 

Teatro Franco Tagliavini
Teatro Franco Tagliavini

C’è una bella città gonzaghesca in provincia di Reggio Emilia con un bellissimo teatro all’italiana da 400 posti. La città si chiama Novellara, il teatro Franco Tagliavini. Il 23 luglio 2015 il Consiglio Comunale di Novellara ha deciso di affidare la gestione del teatro per tre anni alla Società Novellara Servizi srl (già società per la gestione dei servizi funebri del Comune di Novellara), con un contributo annuo di 90.000 euro (oltre le utenze, comprese quelle telefoniche) a fronte di un canone a carico del gestore di 5.000 euro. Il 3 agosto la Novellara Servizi srl ha pubblicato due bandi per assumere un direttore artistico e un direttore organizzativo. Il 25 agosto il bando per la direzione artistica è stato revocato: l’amministrazione comunale ha ritenuto, per ragioni di opportunità e di pubblico interesse, di affidare la direzione artistica all’ex direttore che ha offerto il proprio lavoro a titolo gratuito. Fin qui i fatti, che sono stati ampiamente commentati sui social e che sono emblematici di una cattiva diffusa politica culturale.

È abbastanza stupido “inventarsi” il gestore di un spazio teatrale, fino all’imbarazzante scelta di affidarsi ad una società che ha il proprio know how nelle “onoranze funebri”, la quale, ovviamente, deve a sua volta dotarsi di competenze specifiche, proprie di un direttore artistico e di un direttore organizzativo. Sarebbe più saggio affidare la gestione di uno spazio teatrale a un’impresa che “fa teatro”, dotata al proprio interno di competenze ed esperienze specifiche (da quelle culturali a quelle tecniche). L’alibi (così di moda, in questo periodo confuso) del risparmio non regge, perché l’inesperienza e l’ignoranza delle tecniche di gestione producono, inevitabilmente, costi aggiuntivi. Sulla gratuità dell’incarico, poi, si potrebbe ironizzare a lungo… Qualche settimana fa Michele Ainis sul Corriere della Sera, in un illuminante articolo sul dilagare degli incarichi gratuiti, ha scritto: «questa moda dell’incarico gratuito si risolve nella svalutazione del lavoro, su cui si fonda la Repubblica (art. 1)», ricordando quanto diceva Ignazio Silone «Se è gratis, c’è l’inganno».

Il “caso Novellara”, come tanti altri sparsi sul territorio nazionale, richiama la questione della dignità del lavoro in teatro e con il teatro, che, come tutti i lavori, deve essere svolto da chi ha conoscenze, competenze ed esperienze specifiche e che deve essere regolarmente ricompensato. Il Comune di Novellara investe 90.000 euro l’anno (più le utenze, comprese quelle telefoniche) per il funzionamento del teatro comunale, ma ne affida la gestione a una società in house che gestisce i servizi funebri cittadini. Con la stessa spesa, un’impresa teatrale professionale non solo assicurerebbe i servizi culturali, organizzativi e tecnici, ma sarebbe in grado di fare del teatro un vero e proprio «presidio culturale del territorio», garantendo lavoro ad artisti, tecnici e organizzativi. Se non ci limitassimo a ricercare sprechi e cominciassimo a spendere bene le risorse a disposizione, racconteremmo molti meno casi di malagestione e di disservizi ai cittadini!

Con un finanziamento regionale annuo medio di 70/80.000 euro, da sette anni in Puglia, con Teatri Abitati (la rete delle residenze teatrali pugliesi), undici imprese teatrali professionali gestiscono altrettanti teatri comunali, spazi pubblici da anni sottoutilizzati, che sono stati trasformati in luoghi aperti e fruiti dalla comunità per almeno 120 giorni l’anno. Di esperienze simili ce ne sono tante in Italia, legate alle residenze teatrali lombarde, piemontesi, emiliano-romagnole, toscane, calabresi e non solo: basta leggere l’ampia ed approfondita riflessione sulle residenze che ha accompagnato i quattro incontri nazionali di Nobiltà e Miseria www.residenzecreative.iltamburodikattrin.com.

Nel sito istituzionale del Comune di Novellara è scritto «Quando l’ultimo conte Filippo Alfonso morì nel 1728 una grande tradizione di mecenatismo, austerità morale e sagacia amministrativa si era quasi totalmente perduta negli intrighi di corte e nella fatuità dei costumi». C’è qualche dubbio che i quasi tre secoli trascorsi siano bastati per recuperare saggezza e serietà amministrativa.

Franco D’Ippolito

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