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La Medea del Teatro Patologico, tra terapia e scena

Il Teatro Patologico porta in scena al Teatro Argentina Medea di Euripide. Recensione.

 

Foto Federica di Benedetto
Foto Federica di Benedetto

Tra i primi appuntamenti della stagione teatrale dell’Argentina troviamo un classico della letteratura teatrale a confronto con una modalità di lavoro “integrata”, frutto di un lungo laboratorio portato avanti da professionisti e persone affette da disabilità psichiche e fisiche. Realtà italiana tra le più longeve in questo settore, il Teatro Patologico diretto da Dario D’Ambrosi fin dal 1992 ha operato sempre a cavallo tra le disabilità utilizzando il teatro come principale mezzo di interazione.
Quasi una sorta di corto circuito tra racconto e messinscena, l’operazione (a cui è affidata l’inaugurazione di un’istituzione come il Café La Mama di New York dall’8 al 18 ottobre 2015) riguarda l’emarginata per eccellenza, Medea: colei che è diversa sotto il piano ontologico – perché maga – politico e culturale – straniera in Grecia e ricercata in patria – sociale – ormai moglie illegittima e abbandonata. Non esistono all’occhio di chi la condanna motivazioni al suo esser considerata folle: di rabbia, d’amore, d’odio, già la specificazione troverebbe una via, un senso, agli atti commessi. Sarebbe Medea, comprenderla, perfetto baluardo per quel mondo relegato fatto di patologie tenute a distanza, considerate non integrabili alla società se non dopo le lunghe battaglie messe in atto tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta.
Tuttavia, in questa scelta operata da D’Ambrosi, il testo euripideo (la cui evoluzione viene largamente rispettata tranne che in alcune eccezioni, anticipazioni visive della tragica fine) prende il sopravvento a discapito di un’efficacia scenica in grado di scavalcare il rovescio della medaglia dell’esclusione: l’inclusione a tutti i costi, quel pregiudizio positivo in cui spesso si cade quando si ha a che fare con i cosiddetti “teatri delle diversità”. Il coro formato dagli attori diversamente abili, troppo spesso occultati da un telo bianco che loro stessi sorreggono, rimane come incapsulato tra le battute recitate in greco; il thumòs, l’anima emozionale muove le loro labbra che costantemente ne ripetono il suono, eppure sono pochi i momenti in cui si avverte un respiro all’interno della forma – pur ben – costruita.

Foto Federica di Benedetto
Foto Federica di Benedetto

Sul palco si alternano la gioia, il potere della derisione, la crudeltà e infine il commiato; un tamburo guida il ritmo verso una con-fusione liberatoria; e tuttavia bisogna chiedersi a discapito di cosa? La libertà terapeutica del teatro non sempre riesce a palesarsi sulla scena che rimane come appannata, vittima della separazione, paradossalmente per un eccessivo rispetto dello “spettacolo”, tra il processo e l’esito. L’espressività degli attori professionisti, a cui sono affidati i ruoli principali, rimane inglobata in una forma che non sempre restituisce lo scuotimento d’animo ricercato nei toni. Non basta lo scontro tra Creonte (lo stesso D’Ambrosi), ossessionato dall’idea dei figli, con una Medea (in questa versione Almerica Schiavo) manipolatrice, che finge la sottomissione senza troppa convinzione. Non servono le morti in scena – i puristi della tragedia le troverebbero fuori contesto –, come non trascina fino in fondo nel dramma Giasone (Mauro F. Cardinali) alla ricerca dei propri figli in platea sulle note di un piano in minore.
Occorre trovare una mediazione tra la “Magia del teatro” (non a caso nome della scuola di formazione del Patologico) e le forme del teatro stesso: «Non scoccare mai, dea, contro di me / la freccia intrisa nel desiderio / che non concede scampo», ma, aggiungeremmo, trovare una mediazione tra forma e espressione, tra terapia e verità scenica.

Viviana Raciti
Twitter @viviana_raciti

Visto al Teatro Argentina, settembre 2015.

MEDEA
di Euripide
regia Dario D’Ambrosi
con Almerica Schiavo, Dario D’Ambrosi, Mauro F. Cardinali, Michela D’Ambrosi e Chiara Laureti
coro Attori diversamente abili del Teatro Patologico
musiche originali Francesco Santalucia
direzione coro Papaceccio
coreografia Marisa Brugarolas
costumi Raffaella Toni
scenografia Maria Grazia D’Ambrosi
suono e luci Claudio Giordano, Luca Giordano
PRODUZIONE Teatro Patologico

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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