Debutta in prima assoluta a Short Theatre 10 il nuovo lavoro di Roberto Castello per Aldes. Recensione
Light. Sul palcoscenico nudo si registra l’assenza di quinte, corpi, oggetti. Gli unici segni di vita sono una proiezione di gocce che scendono a scatti sul fondale e un ritmo elettronico in quattro quarti, a scandire un tempo circolare. Dark. La sottrazione della visione operata dal buio porta l’attenzione a concentrarsi sul ritmo, ambasciatore di un seguito imprevedibile che s’innesta nell’oscurità come un oggetto concreto colto da moto perpetuo. Light. Una formazione si stacca dal fondo della scena ritagliando, immobile, la sagoma di quattro corpi a capo chino, elegantemente vestiti con abiti neri d’ispirazione vittoriana.
In In girum imus nocte (et consumimor igni) – titolo palindromo dell’ultima creazione della fucina lucchese ALDES condotta da Roberto Castello – il primo accenno al movimento è un sussulto cinestetico che agisce alla base della nuca, un annuire lieve che marca il tempo in crescendo, nascendo sottile per diventare feroce, affilato e selvatico.
I danzatori – Mariano Nieddu, Giselda Ranieri, Irene Russolillo e Ilenia Romano/Elisa Capecchi – sono posseduti e s’impossessano del ritmo che costruisce i loro corpi portandoli verso quello “stato di danza” che già la danzatrice italo-americana Simone Forti aveva iniziato a esplorare, complice l’LSD, intorno agli anni ‘70: una trance percettiva che deforma i tratti e invade il corpo, un’alterazione che esalta l’individualità disponendola ad aprirsi all’altro con le dovute conseguenze di conflitti e affinità.
L’alternanza irregolare di luce e buio è chiamata da una voce che, impartendo i comandi light e dark, conduce il gioco della visione. Come elemento drammaturgico, la luce è quella diafana di un proiettore programmato per attivare e disattivare porzioni di scena secondo un principio geometrico volto a segnare improvvise latitudini e longitudini (corridoi, sezioni e forme poste in posizioni e ad altezze diverse).
Nella prima metà, la reiterazione esasperata del dondolio della testa si combina con il ritmico fruscio dei piedi dei danzatori colti da un fuoco crescente e capace di trasformare sempre di più le loro tensioni interiori in movimenti: da in-tension a ex-tension in un rapporto di reciproca interdipendenza. Quando giunge a regime, la struttura dello spettacolo scioglie nei corpi un’umanità individuale, iniziano quindi a intrecciarsi relazioni inedite che non sembrano volte a intrattenere il pubblico con il prodigio dionisiaco della trance dance, ma a tenere testa, forse, a ciò che il setting autoritariamente impone. Si generano quindi momenti di contatto dove il peso del corpo, in senso sia fisico che metafisico, è oggetto ora d’accettazione ora di resistenza. La liberazione del movimento, che esplode in forme liquide, è la via di fuga da un accumulo di tic e di spasmi muscolari che entrano in loop. Se la verticalità che caratterizza visivamente la prima parte contrassegna le quattro individualità come partecipanti dello stesso trip, è nel momento in cui i danzatori raggiungono la dimensione orizzontale, al contatto col suolo, che emerge chiaramente l’umanità singolare di ciascuno di loro. Spuntando dal nero solenne dei costumi, la carne è lo spazio del vulnus, la ferita, segno della potenziale vulnerabilità che rilancia continuamente, nello spettacolo, ogni possibile solidificazione di senso. Così Giselda Ranieri ci offre con toccante intensità la visione della pelle della sua schiena mentre asseconda la forza del suo corpo che fluisce nei muscoli disarticolando spazi e tempi.
Nonostante la voce fuori campo annunci ripetutamente l’avvento della fine – the end is near – il ritmo non smette di possedere i corpi dischiudendo infine in loro la possibilità di un’ironia dai toni leggeri che vagamente inizia a scomporre, nella seconda parte, la dimensione seria della scena. È così che la trance apre le porte alla possibilità di una danza grottesca, coraggiosa evoluzione all’interno di un dispositivo scenico austero che invita lo spettatore a lasciarsi andare, dall’inizio alla fine, attraversando i propri stati d’animo sui quali le continue “seizure” della luce e dei movimenti agiscono come una sequenza di neurologici black out e aure premonitrici. Con questa prima assoluta, Roberto Castello accompagna danzatori e spettatori verso uno stato di reciproca empatia, quel fuoco comune che il titolo della creazione richiama: un fuoco che, nonostante l’operazione chirurgica che la danza rappresenta per i corpi, non consuma la visione, ma la accende.
Gaia Clotilde Chernetich
Twitter @GaiaClotilde
visto alla Pelanda per Short Theatre 10, settembre 2015
Leggi tutti gli articoli su Short Theatre 10
tutto il programma di Short Theatre è anche su Teatro Pocket. Scarica e installa gratuitamente la app sul tuo smartphone
info Short Theatre sito web
IN GIRUM IMUS NOCTE (ET CONSUMIMUR IGNI)
(Andiamo in giro la notte e siamo consumati dal fuoco)
di Roberto Castello
interpreti Elisa Capecchi, Mariano Nieddu, Giselda Ranieri, Ilenia Romano, Irene Russolillo
luci, musica, costumi di Roberto Castello
costumi realizzati da Sartoria Fiorentina
produzione ALDES
con il sostegno di MIBACT – Direzione Generale Spettacolo dal vivo, REGIONE TOSCANA – Sistema Regionale dello Spettacolo