Il teatro finanziato: ospitiamo l’opinione di Franco D’Ippolito a seguito delle ultime assegnazioni Fus (imprese di produzione, alle azioni trasversali di promozione e alle tournée all’estero)
Con l’ultimo decreto del 23 luglio scorso, relativo alle imprese di produzione, alle azioni trasversali di promozione e alle tournée all’estero, la mappa del nuovo sistema teatrale per il triennio 2015/2017 è completa. Se l’obiettivo politico del DM 01.07.2014 (condivisibile o meno) era quello di ridurre il numero dei soggetti e determinare un livello di finanziamento più rispondente alla funzione svolta da ognuno, si può dire che è stato raggiunto solo in parte e non sempre a vantaggio del teatro italiano.
Sono 307 i soggetti finanziati per il 2015: 55 nell’area della produzione-programmazione (Teatri Nazionali, Tric e Centri, dieci in meno rispetto all’ex area della stabilità); 160 nell’area della produzione (ventotto in meno rispetto al 2014); 77 nell’area della programmazione (due in meno) e 15 in promozione (45 in meno). In totale il sistema teatrale finanziato dal FUS si è ridotto di 85 soggetti, ma questa riduzione cancella dal sostegno ministeriale, per i prossimi tre anni, soggetti che da tempo rappresentano un punto di riferimento per interi territori, per i loro pubblici e per il rinnovamento della scena. In qualche caso è stato il punteggio assegnatogli a non consentirne l’ammissione, in altri (forse i più clamorosi) sono stati i noti lacci, laccetti e lacciuoli del DM.
Perplessità suscitano, tra l’altro, le decisioni sulle prime istanze delle imprese di produzione (comma 1 dell’art.14 del DM). Per le prime istanze valgono minimi di attività ridotti, al fine di favorire l’ingresso nel sistema delle compagnie finanziate dal FUS. Le imprese cui è stato assegnato tale finanziamento non sembrano aver bisogno di una riduzione dei minimi di attività, potendo ricondursi a “nomi” che assicurano una buona quota di mercato, mentre scorrendo l’elenco delle prime istanze non finanziate si trovano diverse nuove e giovani compagnie che più ragionevolmente avrebbero avuto titolo ad un accesso “facilitato” al sistema dei finanziamenti ministeriali.
Il DM finanzia, oltre i 55 Teatri Nazionali, Tric e Centri (che svolgono sia la funzione di produzione sia quella di programmazione), 154 soggetti produttivi, cui “impone” di effettuare complessivamente 12.095 recite, e 76 soggetti che “devono” programmare almeno 4.616 rappresentazioni. Non è eccessivamente squilibrato un flusso di finanziamenti ministeriali che “obbliga” alla sovraproduzione ovvero che non sostiene una adeguata rete di programmazione?
Rispetto al riequilibrio territoriale, la prima applicazione del DM ha purtroppo allargato il divario fra i territori del teatro italiano, divario che non è riscontrabile, almeno nella stessa misura, sui nostri palcoscenici. I soggetti del Centro e del Sud si sono ridotti del 4% (rispetto al 2014), concentrando al Nord compagnie e teatri finanziati, aumentando così il rischio di sostenere a livello statale la produzione e la programmazione di un’area ristretta del Paese e di penalizzare artisti, lavoratori e pubblici del resto d’Italia, anche oltre gli stessi ritardi dei soggetti o le fallaci politiche culturali degli Enti Locali territoriali.
Quanto ai livelli di finanziamento, il lavoro (non facile!) della Commissione ha consentito in diversi casi di riequilibrare gli effetti distorti della cosiddetta “storicità” che negli anni scorsi aveva determinato sottofinanziamenti per alcuni soggetti (ammessi al FUS in epoca di “vacche magre”) e perpetrato irragionevoli rendite di posizione di soggetti che andavano esaurendo la propria dinamicità artistica e culturale. Ma la rigidità dei criteri di valutazione e dei sistemi di calcolo del DM ha prodotto nuovi squilibri, penalizzando soprattutto chi investe più sull’innovazione e sulla ricerca artistica che sulla quantità di attività. L’eccessivo numero dei parametri (quantitativi e della qualità indicizzata) ha di fatto “anestetizzato” la valutazione artistica e, attraverso alcuni parametri più discrezionali che oggettivi, consentito qualche “aggiustamento” nel punteggio. La regola del “valore punto”, inoltre, si è rivelata troppo “assoluta”, mentre la suddivisione in sotto-insiemi (condizionata dalla dotazione finanziaria assegnata a ognuno di essi) non sempre è stata in grado di esprimere veramente le differenze qualitative e quantitative fra soggetti dello stesso settore. Il caso dei due soggetti che hanno ottenuto il maggior punteggio in assoluto (100 e 93) e che si son visti assegnare un finanziamento inferiore rispetto al 2014, è abbastanza emblematico, mentre sono stati assegnati finanziamenti di molto superiori, rispetto all’annualità precedente, in presenza di punteggi anche al di sotto di 50. E’ vero che il raffronto con il livello storico di finanziamento può essere fuorviante (e spesso lo è), ma viene il sospetto che il meccanismo messo in piedi dal DM non garantisca una valutazione oggettiva e sia stata ancora la “storicità” ad influenzare sensibilmente le assegnazioni 2015.
Dalla lettura delle tabelle allegate ai decreti di assegnazione mi pare emergano alcuni valori non coerenti con le regole dettate dal DM. Si tratta, immagino, di errori dovuti forse ad un’errata trascrizione delle risultanze istruttorie. In diversi sotto-insiemi (il secondo dei Tric, il terzo dei Centri, il terzo delle imprese di produzione, il secondo delle prime istanze-imprese di produzione, il primo e il secondo delle imprese di produzione under 35, il primo e il secondo delle imprese di produzione-sperimentazione, il secondo delle imprese sperimentazione-infanzia e gioventù, il secondo delle imprese di teatro di figura) il valore dell’assegnazione o del punteggio sembrano errati. In qualche sotto-insieme (il secondo dei Centri, il secondo delle imprese di teatro di figura, il secondo e terzo dei festival) il valore punto sembra maggiore di quello del sotto-insieme superiore, in evidente contraddizione con la previsione del DM, che istituisce i sotto-insiemi affinché, a parità di punteggio, a due soggetti (uno inserito nel primo e l’altro nel secondo) sia assegnato un finanziamento differente in ragione della diversa “dimensione di impresa e di attività” (al soggetto del sotto-insieme superiore un finanziamento maggiore). Mi auguro di essere io in errore, altrimenti spero in pronti chiarimenti ed eventuali rettifiche da parte della Direzione Generale Spettacolo.
La prima applicazione del DM, che avrà conseguenze importanti per i successivi due anni del triennio, evidenzia chiaramente che sono necessari decisi correttivi e che il lavoro del tavolo tecnico congiunto MiBACT – Enti territoriali e locali (previsto dal comma 3 dell’art.50 del DM) non sarà facile, né semplice. Oltre ad aggiustamenti tecnici (numero dei parametri, composizione dei sotto-insiemi, flessibilità del valore-punto, eliminazione di molti lacci, laccetti e lacciuoli) andrà affrontato il rapporto fra dimensione quantitativa, quantità indicizzata e qualità artistica, magari assegnando a quest’ultima un peso maggiore. Sempre che non si voglia dar ragione a quanti hanno colpevolizzato la cosiddetta “linea editoriale”, scrivendo uno dei momenti più opachi del lavoro della Commissione e del confronto fra questa e la Direzione Generale Spettacolo.
Franco D’Ippolito
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Io sono sgomento rispetto alla lettura della “cosiddetta” riforma.
La “linea editoriale” semplicemente non dovrebbe esistere perché non dovrebbero essere 5 persone a decidere in che luogo deve andare il teatro italiano.
La commissione era chiamata a giudicare al di là del proprio gusto, caso per caso.
Sono state escluse dal finanziamento compagnie che facevano semplicemente prosa.
Sono attonito.
Il teatro è in mano ai cattedratici.
La linea editoriale della peggior commissione prosa della storia del teatro italiano, ridotta a 5 soli membri che hanno mostrato una incompetenza e una appartenenza senza precedenti, non è una supposizione, ma UN FATTO. Il loro voto decretava l’ammissibilità o meno dei soggetti. Il pollice alto o il pollice verso. Se il dott. Nastasi avesse avuto un minimo di coerenza personale, sapendo bene che i valori della scheda punteggi che i commissari dovevano assegnare erano IDENTICI a quelli degli anni precedenti (a partire dal 2007), si sarebbe certamente chiesto “come mai una compagnia che prendeva un determinato valore per la direzione artistica, la qualità professionale degli interpreti ed un progetto artistico nel 2014…nel 2015 con la stessa direzione, gli stessi interpreti e la naturale prosecuzione del progetto stesso, viene ora stroncata con una grave insufficienza?” Se si fosse posto lui la domanda non ce la porremmo noi oggi. Jurij Ferrini.
Ma stiamo scherzando??! Cioè lei crede veramente che Nastasi in tutto questo non c’entra niente, che quella commissione ha fatto delle scelte (sì certo balzane) e che il direttorone non ha potuto o voluto fare nulla??!
Sono mesi che Nastasi fa girare la voce, ancora prima della nuova legge, che l’intenzione era quella di tagliare – pardon -, di riordinare il sistema del fus. Che tradotto voleva (e ha voluto) dire eliminare i soggetti più deboli, piccoli e fragili.
Semmai davvero Nastasi l’avesse guardata, la sua scheda, non credo avrebbe fatto granché, neanche se l’avesse paragonata agli anni precedenti. Anzi mi viene il dubbio che se le sia guardate proprio per benino, visto che l’idea dei tagli con l’accetta l’ha avuta, promossa e fatta girare proprio lui, nascondendosi dietro i cosiddetti e presunti esperti che ha nominato come commissione, e privilegiando quei teatri e compagnie che erano in qualche modo protetti da qualcuno.
La verità è che la riforma è indecente su molte cose e che la sua applicazione è ancora peggio, perché si è approfittato di un cambiamento della legge per fare un bel po’ di pulizia senza un minimo di criterio. E che la colpa grave e vera della commissione in questione è che sia rimasta ostaggio di quelle intenzioni, senza far valere le proprie idee e posizioni (se mai ne hanno avute), senza ribellarsi, senza dire e fare niente.