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Thomas Ostermeier. Nemico di quale popolo?

Thomas Ostermeier al Napoli Teatro Festival con Un nemico del popolo di Ibsen. Recensione

 

thomas ostermeier
Foto Arno Declair

La verità, vi prego, sulla verità!
Di cosa si tratta? Nell’arte del discorso, l’affilata retorica, la verità risiede un po’ come l’angolo in ombra, negato agli sguardi, ciò che detto davvero sarebbe una sorta di depravazione delle intenzioni, un infido trabocchetto della sintassi; perché non se ne svela che una versione e, per grande che sia l’opera di suggestione in grado di difenderla assoluta, la verità non è che parziale, mai definitiva. È da questo assunto che un’arte di per sé parziale come il teatro, intimamente illusoria, non può che trarre il proprio nutrimento eterno, scegliendo proprio la verità – vera o presunta – come fulcro e fine di ogni gesto artistico. Quando il drammaturgo norvegese Henrik Ibsen nel 1882 diede alla luce Un nemico del popolo non poteva certo prevedere – ma con una buona capacità prospettica di certo poté ipotizzare – quanto questo testo avesse una validità oltre le epoche, definendosi un classico naturale per aver tracciato proprio la “verità” come intrinseco tema, per aver quindi compiuto un passo determinante: esaminare l’unico possibile assoluto, per converso, l’incompiutezza della stessa verità.

La ricerca su Ibsen di Thomas Ostermeier, direttore della Schaubühne di Berlino, parte da lontano: Casa di bambola, Il costruttore Solness, Hedda Gabler e John Gabriel Borkman avevano aperto la strada a questo Ein Volksfeind, Un nemico del popolo, seguendo in ogni caso l’origine dell’emergenza civile contemporanea, muovendo dall’esemplarità ibseniana per indagare ciò che opprime una società che annega nella persuasione del singolo e la denuncia come tra le prime nella storia del mondo a essere incapaci di narrarsi, di porre gli argini a una deriva febbrile. Della stessa si occupa questo spettacolo per la seconda volta in Italia al Napoli Teatro Festival (la prima fu nel 2013 alla Biennale di Venezia), visto in scena in seconda replica in un poco frequentato Teatro Politeama, senza cioè il giusto tributo a uno dei migliori lavori dell’artista berlinese; ed è stato un peccato, per il festival che ha dovuto operare con poco tempo a disposizione in virtù di una progettualità farraginosa e un lento apporto istituzionale, ma soprattutto per la città di Napoli che avrebbe davvero potuto interrogare le proprie scelte, la vitalità di un dibattito pubblico nato dal palco e letteralmente concluso – o non concluso – in platea. Già, perché quando il medico Stockmann, dopo aver scoperto che le Terme fulcro della vita economica della propria città poggiano in realtà su una falda acquifera avvelenata, denuncia non solo il problema ma anche l’indolenza parassitaria e gli intrighi dei potentati governativi; lo fa chiamando sul palco un vero interprete linguistico e accendendo le luci in platea, anche quelle dei palchi – vuoti – perché si dia inizio al confronto con l’opera, perché lo spettatore faccia cioè il salto definitivo e conduca una scelta critica, operi giudizio rispetto alla vicenda appena ascoltata e difenda con coscienza una posizione politica, etica, umana.

thomas ostermeier
Foto Arno Declair

L’interno di casa Stockmann, che diviene via via la redazione della Voce del Popolo interessato a pubblicare l’inchiesta prima di tirarsi indietro, che diviene anche il palco del comizio finale contro gli apparati del potere, torna poi in conclusione dell’opera, perché proprio la famiglia è in ogni caso – a quanto sembra di vedere – uno dei temi portanti; se la verità è una responsabilità individuale, la comunità piccola o grande che sia ne diviene il distorsore principale, ponendo continuamente il rischio di vagliare pro e contro dell’averla lì, infine, dichiarata, ormai innegabile. Ogni azione ha la sua reazione, ma come si evince anche da queste parole che lo stesso Ostermeier pronunciò a Venezia due stagioni fa, è proprio questo il motivo del contendere: l’incapacità immobilizzante dell’individuo di farsi responsabile, di prendere posizione, di discutersi fino al punto di trasformare sé stesso e la posizione di partenza. Movimento, sembra la parola che Ostermeier rimpiange di epoche in cui la società occidentale sapeva far scuola di pensiero da un’origine concreta, di pura, limpida, azione.

«A che ti serve il diritto se lui ha il potere?», è attorno a questa domanda che ruota ogni possibile risvolto di questa nostra società. Lo sa bene Ostermeier quando sceglie di interrogare il proprio tempo con opere universali, di usare Ibsen come sonda di profondità e rintracciare il filo da tirare perché sia detonante, ancora, l’arte scenica in questo inizio di un secolo che, di questo passo, non è tanto semplice da finire.

Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia

Teatro Politeama, Napoli Teatro Festival – giugno 2015

EIN VOLKSFEIND
Di Henrik Ibsen
Regia Thomas Ostermeier
Drammaturgia Florian Borchmeyer
Con Thomas Bading, Christoph Gawenda, Moritz Gottwald, Ingo Hülsmann, Eva Meckbach, David Ruland, Andreas Schröders
Scene Jan Pappelbaum
Costumi Nina Wetzel
Musiche Malte Beckenbach, Daniel Freitag
Luci Erich Schneider
Pitture Katharina Ziemke
Produzione Schaubühne Berlin

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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