Dal romanzo di Richard Yates, Samuele Chiovoloni trae On The Revolutionary Road. Recensione in Taccuino Critico
Un esordio folgorante dal titolo Revolutionary Road portava, nel 1961, il suo autore Richard Yates trentacinquenne in finale al National Book Award e contemporaneamente sulla bocca di tutti, per quella sua maniera disincantata e crudele con cui narrava l’America degli anni Cinquanta, così abbagliante e, al contempo, piena di ombre. Frank e April sono «i Wheeler», coppia convenzionale tanto da meritarsi l’articolo davanti al cognome declinato al plurale, con villetta in zona residenziale, tappezzeria sempre pulita, giardino con erba appena rasata e in perenne competizione con “quella del vicino”. L’alienazione presa in dote col perbenismo borghese ha per un momento la speranza d’essere sconfitta da un radicale cambio d’aria, l’ipotesi di mollare tutto e andarsene a Parigi. Ma il demone ha già cominciato a divorare tutto e la promessa di un lavoro più gratificante e meglio pagato ha la meglio e costringe a rimanere, più di una nuova gravidanza cui pure i due sarebbero stati pronti a rinunciare. Quel “sogno” dai contorni grattati via, quella patina d’apparenza, quella rabbia nevrotica serpeggiavano bene nell’adattamento cinematografico che aveva firmato nel 2008 Sam Mendes, già acclamato regista di, tra gli altri, American Beauty, parabola dal corso simile per ampiezza di ragionamento e per figure archetipiche. Anche lì c’era la normalità raccontata come Venere di Norimberga che punge a ogni minimo spostamento di muscolo.
Ciò che nel film di Mendes era aiutato da fotografia, musiche e il dosaggio del ritmo nei movimenti di macchina e di montaggio, qui viene affidato alla sola presenza di due attori che, pur tenendo molto presente l’esempio hollywoodiano, non riescono a riempire a dovere uno spazio che resta troppo statico. La drammaturgia di Samuele Chiovoloni – che maneggia infatti il mezzo radiofonico – non riesce a creare un vero e proprio respiro, avrebbe bisogno di tagli più severi e di qualche idea di regia e di spazio che vada oltre certi gratuiti inserti di teatro danza, pieni di citazioni e però goffamente fatti propri dagli interpreti, che pure vi si dedicano con coraggio. «Revolutionary Road» è sì l’indirizzo della villetta dei Wheeler, ma anche cupo negativo del termine rivoluzione, un moto che non accenna a rallentare e che ha ben poco di rivoluzionario. La materia originaria conterrebbe dunque molti spunti per offrire un affondo spietato sul piano filosofico-morale, che invece smussa gli angoli in un monito moralista ancora troppo in superficie.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
Questa recensione breve appartiene a un Taccuino Critico
Visto al Teatro Cometa Off, Roma, Aprile 2015
Questa recensione appartiene a un Taccuino Critico
ON THE REVOLUTIONARY ROAD
Con Elisa Menchicchi e Giulio Forges Davanzati
Disegno luci: Diego Labonia
Costumi: Morena Fanny Raimondo
Regia e Drammaturgia di Samuele Chiovoloni