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Le dieci massime. Il dittatore mancato, la politica e la cultura.

Le dieci massime, spettacolo della Compagnia Teatro Alkestis. Recensione in Taccuino critico.

 

Foto Brunello Angius
Foto Brunello Angius

Un uomo seduto su una sedia al centro di una scena essenziale, chino nel suo bianco integrale, testa riversa nelle mani. Una donna, tacchi alti in vernice rossa, vestaglia da lavoro e capelli fermati da grandi bigodini entra con un vassoio portavivande d’argento, lo scoperchia, gli porge un bignè, gelida si accerta che lo trangugi. Una, due, tre, quattro volte: la stessa azione, gli stessi movimenti, la stessa traiettoria geometrica a L ripetuta entrando ed uscendo dalla quinta di sinistra. Comincia così Le dieci massime, spettacolo dei sardi Andrea Meloni e Sabrina Mascia, qui anche interpreti, strutturalmente concepito come rappresentazione di un ipotetico percorso di educazione volto a tramutare (senza riuscirci poi) un fallito individuo di mezz’età nel politico perfetto, non un burocrate ma piuttosto una vera e propria mente di potere, forgiata per il controllo, addestrata al sacrificio dei reali interessi della collettività, cablata anche sulla menzogna e le false promesse, immune all’orrore del soffocamento culturale, sempre più accondiscendente con logiche asservite. Metafora di una deriva fin troppo conosciuta, sempre attuale perché mai debellata, la pièce procede quasi per episodi segnati da un calo delle luci e introdotti da una voce fuori campo, situazioni sviluppate da incisi – appunto le dieci massime del titolo – tratti dal Mein Kampf di Hitler e dal carteggio di Heinrich Himmler. L’incertezza, che porta a non sentirsi partecipi dal principio, si scioglie in parte nel corso della performance e l’accompagna grazie alla comprensione del meccanismo di fondo e dell’idea, abbastanza ben sviluppata seppure espressione di un malcontento, di un disagio certo non inedito e quindi nemmeno scevro da sprazzi di “retorica da monito” cui potrebbero giovare un paio di episodi in meno. A restare maggiormente impressa è l’efficacia della componente visiva, intendendo con questo insieme alla semantica dell’immagine (più o meno mutuata a seconda dei momenti) anche la gestione della presenza corporea in palcoscenico dei due protagonisti: il palese riferimento a Il grande dittatore di Chaplin è certo facilmente lirico di suo, ma nel caso specifico risulta calzante, ben riuscito in quanto personalizzato con discrezione e reso funzionale – basta l’uso di candidi palloncini in lattice enormi o piccoli – da una evidente ricerca di costruzione dell’azione fisica come “messa in forma”.

Marianna Masselli

Twitter @Mari_Masselli

Questa recensione breve appartiene a un Taccuino Critico, leggi le altre.

Visto alla Casa delle Culture, Roma, marzo 2015.

LE DIECI MASSIME
di Sabrina Mascia, Andrea Meloni
con Sabrina Mascia, Andrea Meloni
regia Massimo Zordan

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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