Cosa hanno in comune Britney Spears e Giuseppe Garibaldi? Il risorgimento e il McDonald’s? Sono icone pop, non intese come popolari bensì come simboli del vuoto, icone divenute tali solo perché una potente major o dei governi hanno voluto creare quel mito, semplicemente per convenienza economica o storico-politica.
Soprattutto questo emerge in Risorgimento pop, beffardo spettacolo di Daniele Timpano e Marco Andreoli non solo sul momento storico, ma anche sugli eroi che occupano adesso vie e piazze di qualunque città. In scena questa volta al Palladium accanto alla follia recitativa di Daniele Timpano capace come sempre di una verbalità (e fisicità) debordante ed effervescente, c’è l’immobilità di Gaetano Ventriglia, la sua compassatezza, la smorfia evocativa e i ritmi mai scontati. I due si presentano al pubblico come una coppia di folli anarchici pronta a spiegare la verità storica sul Risorgimento – oltre che a captare fondi e cachet distribuiti grazie alla commemorazione dei 150 anni dal “glorioso” momento storico. Come avveniva in Si l’ammore no costruito da Timpano con Elvira Frosini, lo spettacolo, i suoi intenti e interpreti vengono enunciati al pubblico, il quale è frequentemente chiamato in causa (tratto comune di una parte del teatro contemporaneo, si veda il Latella di Le Nuvole, o l’ultimo Jan Fabre con Orgy of tolerance). Sono vestititi da preti perché in questo modo hanno avuto vita facile nel riportare alla luce il corpo di Mazzini. Imbalsamato, con gli occhi che si staccano rimbalzando sul palco e la mascella che rimane nella mano di Ventriglia, il condottiero viene portato in scena davanti al suo pubblico.
Ma non c’è verità e ordine nel racconto: la didattica è folgorata, come in un sussidiario sfogliato velocemente o negli esercizi degli studenti che ripetono a memoria le pagine studiate; Ventriglia sottoponendosi a una assurda prova (uno dei “numeri” principali dello spettacolo) racconta tutto il risorgimento in quattro minuti. Ed è questa forse l’immagine che meglio rappresenta Risorgimento pop, ovvero uno spettacolo che davanti al pubblico butta la storia italiana in un tritacarne, la mescola con un tipico tocco di assurdo e ne presenta i resti senza remore allo spettatore. Chiaramente con tutte le conseguenze che possono derivarne, prima su tutte l’incomprensione da parte del pubblico dei fatti storici (che comunque dovrebbe già conoscere) e poi una presa di posizione da parte degli autori che può apparire non completamente chiara.
La Storia con i suoi lati ironici, sui quali Timpano come suo solito costruisce divagazioni surreali, che non possono non diventare comiche, è attraversata da un’altra storia: quella personale tra Giuseppe Garibaldi e Anita. Anche in questo caso l’intento è enunciato e autoparodiato, come nel refrain proprio di un brano pop: Timpano si avvicina al proscenio e ogni volta con il medesimo gesto pronuncia il ritornello “ma questa è anche una storia d’amore”. Contemporaneamente al refrain teatrale di Timpano parte il ritornello pop per eccellenza. Baby One More Time, brano che scosse le classifiche poco prima del nuovo millennio, è il tappeto musicale del Risorgimento firmato Andreoli-Timpano, è il ritornello della vacuità che costantemente si ripete, è metafora dell’inconsistenza di ciò che ci circonda, è Garibaldi e Mazzini come sempre ce li hanno voluti propinare.
Andrea Pocosgnich
redazione@teatroecritica.net
visto il 30 gennaio 2010
al Teatro Palladium [vai alla stagione 2009/2010 del Teatro Palladium]
Roma
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Prossime date per Risorgimento Pop
dal 4 al 7 febbraio 2010 – ore 21.00
Teatro i [vai al programma 2009/2010 del Teatro i]
Milano