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Enrico IV. Branciaroli che si finse pazzo

Enrico IV di Luigi Pirandello diretto e interpretato da Franco Branciaroli  al Teatro Parioli Peppino De Filippo. La recensione.

 

Foto Uberto Favretto
Foto Uberto Favretto

«Sono guarito perché so di fare il pazzo». È questa una delle frasi più celebri dell’Enrico IV, scritto da Luigi Pirandello nel ‘21 e considerato una delle sue opere più rappresentative nelle quali maschera, finzione mescolata all’indistinguibile verità, pessimismo e cinica ironia diventano elementi fondanti e trainanti dell’intero spettacolo. Il nome altisonante richiama il re medievale di cui un nobile dal nome a noi tenuto celato, veste i panni durante una battuta di caccia, cade da cavallo e sbatte fortemente la testa; il protagonista del dramma sceglierà volontariamente di intrappolare se stesso come atto di rifiuto nei confronti di una società che gli sta stretta, rendendo una finzione scenica temporanea, permanente realtà. Che per la prima parte dello spettacolo questa follia venga percepita con gli occhi di alcuni aristocratici venuti a fargli visita dopo venti anni di reclusione – che ovvero risulti a noi spettatori il suo vestire i panni di Enrico una reale conseguenza della commozione celebrale – è un fatto appartenente più alla trama, tutto sommato flebile e di poco conto, e non alla natura più profonda del testo. Non dimenticando che fu scritto proprio a cavallo tra le due guerre, questo è un Pirandello non ancora del tutto nichilista, lontano ancora dall’isolamento di Cotrone dei Giganti, con il quale comunque si scorgono delle somiglianze. Di fronte agli imbrogli dei cosiddetti amici (la donna amata che sposò un altro, quest’ultimo, la loro figlia incredibilmente simile alla madre da giovane, uno psichiatra interessato al caso) l’autore agrigentino esalta con Enrico IV la fuga in un mondo immaginario, vedendo nella follia o meglio nel teatro, l’unico possibile luogo in cui vivere. Il nostro pazzo, messo dinnanzi al complotto che dovrebbe farlo rinsavire, rivela al suo pubblico la natura fittizia della sua follia, scegliendo ancora una volta la strada della messinscena.

Foto Umberto Favretto
Foto Umberto Favretto

Un’equazione difficile da riprodurre che ha sempre affascinato i mattatori della scena. Nel nostro caso, l’adattamento visto al Teatro Parioli Peppino De Filippo porta la firma di Franco Branciaroli, anch’egli come il suo personaggio in doppia veste di regista e protagonista. Tuttavia la scelta di una scena copiosamente piena di oggetti – simboli, baluardi della follia e dell’inganno subìto – rischia di distrarre lo spettatore: gli oggetti altro non sono che involucri di cui poco si sente l’effettiva utilità in scena. Gigantografie (leggermente distorte nelle cornici) di due ritratti, quello di Enrico e dell’amata perduta, cavalli a dondolo in formato gigante o su stendardi dipinti, cavalieri in armatura, descriverebbero questo spazio concreto forse come rappresentazione mentale degli ingombranti simboli dell’allontanamento del nostro nobile dalla realtà, quel teatro in cui fuggire. Tuttavia il carrello-macchina col quale entrano in scena gli ospiti e alcune capriole agite dagli aiutanti di Enrico accompagnate da effetti sonori di dubbio gusto risultano essere abbellimenti all’eccesso, fantocci che non parlano. In simile direzione ci vien da leggere l’interpretazione dei personaggi: per quanto si noti la coscienza del porre volutamente a distanza i visitatori – con la loro grottesca caratterizzazione, vocalità affettate e movenze da divi del passato – dalla statuaria presenza del padrone del castello, egli rischia di agire con troppa lentezza tra le maglie del capolavoro di Pirandello, mostrando una pazzia che si muove tra gli estremi (toni acuti e profondissimi) e scatta verso gli ospiti dando loro ciò che si aspettano, cadendo nella trappola della società. È vero, «si spaventano che io stracci le loro maschere come se non sia stato io a costringerli a travestirsi»; Enrico IV si salva dalla congiura perché sceglie ancora una volta la strada della reclusione dell’isolamento. È guarito, sa che sta fingendo. Ma perché gli altri ci credano e possano lasciarlo in pace, non dovrebbe anch’egli crederci un po’ di più?

Viviana Raciti

Twitter @Viviana_Raciti

ENRICO IV

Visto al Teatro Parioli Peppino De Filippo – Marzo 2015

di Luigi Pirandello
regia di Franco Branciaroli
scene e costumi di Margherita Palli
luci di Gigi Saccomandi
con Franco Branciaroli, Melania Giglio, Giorgio Lanza, Antonio Zanoletti, Valentina Violo, Tommaso Cardarelli, Daniele Griggio
e (in o.a.) Sebastiano Bottari, Andrea Carabelli, Pier Paolo D’Alessandro, Mattia Sartoni
produzione CTB Teatro Stabile di Brescia / Teatro de Gli Incamminati

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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