HomeArticoliApologia e naufragio della parola di Giuseppe Patroni Griffi

Apologia e naufragio della parola di Giuseppe Patroni Griffi

Prima del silenzio di Giuseppe Patroni Griffi diretto da Fabio Grossi al Teatro Sociale di Trento, la recensione.

Foto Tommaso Le Pera
Foto Tommaso Le Pera

«Perdono per la parola cólta / che ha confuso gl’innocenti / per la parola povera / che ha fallito negli intenti / non le fate colpevoli non le accusate / piuttosto condannate chi ha lucrato con esse / chi ha detto e non doveva / dirle quelle parole». In questi versi, desunti dalla ballata che chiude il dramma Prima del silenzio di Giuseppe Patroni Griffi, è sintetizzata tutta l’essenza di questa bellissima opera teatrale. Il testo si incentra infatti proprio sul conflitto tra due diversi modi di usare e soprattutto di “vivere” le parole. Da un lato un vecchio poeta senza nome impiega la «parola cólta» per costruire dei mondi di fantasia e per conquistare una sorta di immortalità, usando il linguaggio per trasmettere ai posteri conoscenza e ammaestramento. Dall’altro, abbiamo un giovane vagabondo, ospitato nella casa del suddetto poeta, che invece impiega una «parola povera» per raggiungere «intenti» semplici (lamentarsi, rimproverare, ecc.) e per il resto vorrebbe del tutto farne a meno, fino a farsi corpo completamente muto che soddisfa le proprie esigenze e stringe dei legami con gli altri senza bisogno di parlare. I due personaggi cercano di condurre l’uno nel mondo dell’altro, il poeta in quello spirituale e il giovane in quello “fisico”, ma entrambi falliscono nello scopo, costretti alla fine a separarsi e forse a non rivedersi mai più.

La messa in scena di Fabio Grossi – vista al Teatro Sociale di Trento – ha anzitutto il merito di restituire compiutamente sulla scena questo conflitto, avvalendosi di due raffinati interpreti. Nei panni del poeta troviamo Leo Gullotta, che con movimenti e toni volutamente affettati o enfatici rappresenta il fallimento della parola che non riesce a far presa sul giovane vagabondo. A interpretare quest’ultimo è invece Eugenio Franceschini, che al contrario lavora più con le azioni fisiche e parla spesso in maniera più trascurata e complessa, esprimendo così il desiderio di corporeità totale del personaggio e il suo rifiuto della parola troppo elaborata.

Foto Tommaso Le Pera
Foto Tommaso Le Pera

Ma il lavoro di Grossi va apprezzato, in secondo luogo, per la sua capacità di mettere in evidenza un altro aspetto importante del testo di Patroni Griffi. La parola in tutte le sue sfaccettature non riesce più a costruire dei legami perché è sfuggita al pieno controllo degli uomini, «naufragata» nel caos, si è infiacchita ed è divenuta, da potente collante umano, uno strumento di tormento e prevaricazione. Il poeta stesso si abbandona a un delirio verbale che lo porta sì a creare dei mirabolanti giochi della fantasia, come una battaglia di fiori e la simulazione di un naufragio in mare aperto, ma nello stesso tempo ha perso la sua capacità di donare qualcosa di arricchente all’altro – vale qui citare la battuta rivelatrice del giovane «Tu parli, parli, ma non mi dai niente». Inoltre, la parola causa nella vicenda anche l’apparizione di alcuni “spettri del passato” del protagonista (la moglie, il maggiordomo, il figlio), che Grossi decide intelligentemente di far apparire sulla scena in forma di immagini audio-visive, invece che farli interpretare da attori in carne e ossa. Questi fantasmi non sono altro che l’espressione linguistica e inconscia delle paure, delle pulsioni aggressive del poeta (il giovane non è in grado di vederli, anche quando essi si rivolgono direttamente a lui),  rimanendo inespresse provocano in lui ansie e sofferenze dalle quali egli non riesce a liberarsi.

In questa scenario della confusione e del fallimento tanto della parola cólta, quanto di quella povera, si aprono diversi dilemma di vita e di pensiero. Si può sfuggire alla condizione attuale? In caso positivo la si potrebbe ottenere in via dialettica, ossia trovando una “sintesi” tra i due linguaggi, in grado di alimentare l’immaginazione e la mente, ma nello stesso tempo facendo presa diretta sull’altro, senza prevaricarlo o confonderlo? Né l’opera né la rappresentazione di Grossi forniscono una risposta precisa a questi quesiti. Intanto, però, esse ci avvertono che non sono tanto le parole ad aver causato un tale naufragio, bensì gli uomini che hanno dimenticato il loro valore e significato profondo: «non le fate colpevoli non le accusate / piuttosto condannate chi ha lucrato con esse», recitano appunto i versi della ballata. E ancora, Patroni Griffi e Grossi sottolineano come, nonostante tutto, non si possa che continuare a parlare, perché la totale rinuncia al linguaggio desiderata dal giovane vagabondo è, in fondo, un’ambizione dannosa e vana. La parola è vita, mentre il silenzio è morte. Occorre allora provare a parlare con consapevolezza di quanto si dice e con amore per il prossimo, finché la gola è ancora in grado di emettere voce e non si è contratta, disseccata, del tutto dispersa.

Enrico Piergiacomi

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

1 COMMENT

  1. Vidi lo spettacolo all’ormai ex teatro Eliseo. Premetto che ho visto (in video) lo spettacolo con Romolo Valli e Fabrizio Bentivoglio per la regia di Giorgio De Lullo che surclassa la timida e, per me opaca, versione con Gullotta. Non sono uno che ama fare paragoni ma in questo caso mi vengono spontanei e che mi fanno trovare tutti i difetti che la sera della replica si manifestarono in fastidio. Partiamo da Gullotta. Bravissimo attore ma qui fuori ruolo. Non ha la classe e l’eleganza ma soprattutto la gli manca quella “borghesia” che il personaggio esige. Recita bene ma non restituisce la triste discesa di quella classe borghese della fine degli anni 70. E qui l’altro grande problema. E’ un bellissimo testo che non regge i suoi 35 anni. Un testo che lo si apprezza per la musicalità, per l’estetica ma che ormai non sconvolge più , non ferisce, non scuote un pubblico ormai svezzato allo “scandalo” teatrale. 35 anni fa vedere un rapporto del genere e sentire quelle parole doveva avere un peso che oggi è completamente perso. La regia ha buoni spunti ma mai approfonditi, i video sono a mio parere orrendi, e il giovane attore completamente non guidato, il che gli fa urlare per tutto il tempo le sue battute. Il vero colpo di scena sarebbe stato non metterlo nudo, invece Grossi ci regala un inutile ed esplicito nudo in doccia, forse più per il suo piacere che per una esigenza di narrazione

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Nell’architettura di vetro di Williams/Latella

Lo zoo di vetro di Tennessee Williams diretto da Antonio Latella per la produzione greca di di Technichoros e Teatro d’arte Technis. Visto al teatro...