Ivano Marescotti ne La fondazione di Raffaello Baldini per la regia di Valerio Binasco al Teatro Vittoria. Recensione
Andando a ritroso nel secondo dopoguerra, in un bar di un comune della provincia di Rimini, precisamente a Santarcangelo di Romagna, troviamo il Caffè Trieste. Meno noto rispetto ai celebri luoghi d’incontro nei quali hanno visto la luce movimenti artistici, politici e filosofici, ma che nonostante ciò ha fatto il suo piccolo, e non insignificante, ingresso nella storia culturale italiana. Qui un gruppo di intellettuali – Nino Pedretti, Gianni Fucci, Rina (Caterina) Macrelli, Flavio Nicolini e poi Tonino Guerra – soleva discutere di ogni sorta di argomento, dalla letteratura alla poesia, dall’arte alla politica, tra un bicchiere di amaro e una partita a carte. Fu proprio lì che il poeta e scrittore Raffaello Baldini, figlio dei gestori del Caffè Trieste, entrò in contatto con quello che sarà poi chiamato “e’ circal de giudéizi” (il circolo del giudizio).
Quattro sono i monologhi teatrali – tutti pubblicati da Einaudi Editore – scritti da Baldini a partire dal 1993 fino al 2004; Zitti tutti!, Carta Canta, In fondo a destra e per ultimo La fondazione, consegnato dall’autore emiliano all’attore e collaboratore Ivano Marescotti, col quale dall’inizio degli anni Novanta lo scrittore perseguiva un accurato lavoro sul dialetto romagnolo. Per la regia di Valerio Binasco, il quarto monologo è in scena in questi giorni al Teatro Vittoria, prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione (ERT). «La forte azione rivolta al radicamento territoriale» dello Stabile emiliano è dimostrata dalla promozione di questo lavoro recitato interamente in dialetto, rimarcando così il profondo interesse del poeta Baldini per la fonologia santarcangiolese.
Solo sul divano, abbandonato dalla moglie e imprigionato in una casa ricolma di oggetti tra ricordi, cartoline, bottiglie di vino, tappi, il protagonista si abbandona allo sfogo delle sue ansie, paure, incertezze e ragionamenti, riguardanti una vita consegnata alle cose anche se rotte, inutilizzabili e mancanti di pezzi. Marescotti riesce a dare volto e corpo non tanto a un uomo, quanto all’“essere uomo”, spaventato dal tempo che se ne va, come se per arrestarlo o anche solo rallentarlo, fosse necessaria questa assurda smania della conservazione di tutto per tutto. La volontà del personaggio di rendere questa “casa delle cose” una fondazione che possa preservare la sua memoria rappresenta dunque un ingenuo rimedio all’inevitabile memento mori. Coraggiosa la scelta del teatro, sito nel quartiere romano di Testaccio, di inserire lo spettacolo in cartellone presentandolo agli abbonati, tra i quali a sipario calato vociferava il commento: «Non si capiva niente!». Al di là dei pareri del pubblico da prendere in considerazione, è indubbia la riuscita di un testo poetico che della sua difficile comprensione fa un espediente drammaturgico. Il dialetto teatralizza foneticamente il disagio intimo, lo rende proprio al protagonista che impaurito e timoroso si esprime col linguaggio a sé più vicino, perché più familiare.
Tale processo non esclude un ascolto faticoso offerto a un pubblico come quello romano e rischia di rompere la relazione palco-platea, ma è anche e soprattutto foriero di drammatizzazione per la solitudine del protagonista, resa scenicamente da un palcoscenico vuoto riempito da un divano verde acceso. Il solo e unico spazio di autonomia lasciato da quel mare di «roba».
Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri
Teatro Vittoria-gennaio 2015
LA FONDAZIONE
di Raffaello Baldini
con Ivano Marescotti
regia di Valerio Binasco
scene Carlo De Marino
musiche Arturo Annecchino
luci Vincenzo Bonaffini
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione