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Canti Orfici / Visioni. Dino Campana e l’orizzonte

Canti Orfici / Visioni porta in scena i versi di Dino Campana. Recensione

 

canti orfici
Foto Stefano Ridolfi

Accade talvolta che la suggestione di uno spazio sedimenti lungo l’evolversi del tempo, accade che i versi di un poeta suonino a distanza di chilometri e che questa appaia più corta della propria dimenticanza. È una memoria elastica quella che attiene alla poesia, più ancora che ai poeti: risuona di un’eco antica in un accadimento imminente, disperde lungo canti che si allontanano al curvare di viottoli imprecisati, sterrati, l’onda sonora di un incanto silenziato, passo dopo passo, mai interrotto. È in virtù di questa continuità che un artista come Giancarlo Cauteruccio, affacciandosi un giorno dall’ufficio del Teatro Studio di Scandicci appena conquistato, si accorse della vicinanza aerea di quella postazione con la Villa di Castelpulci, svettante sulla piana, dove molti anni prima e quand’era un ospedale psichiatrico aveva vissuto, recluso, il poeta Dino Campana, fino alla sua morte, il primo giorno di marzo del 1932. Eppure, se non fosse altro da una suggestione, finirebbe relegata in un angoliera impolverata di eventi marginali, cui non si presta che l’attenzione di una rassettata sommaria. Se però il tempo rivela quel sedimento come una maniera non rinunciabile, quel pungolo visivo diviene necessità, richiamo del divenire, quel lascito all’identità che la poesia riesce a sovvertire, spostando un luogo nell’altro, l’allora ad oggi.

Quello che la Compagnia Krypton oggi chiama “omaggio” a Dino Campana, nel centenario della pubblicazione del Libro Unico che ha preso nome Canti Orfici (ma che avrebbe dovuto chiamarsi Il più lungo giorno), è tecnicamente un percorso attorno al poeta (Canti Orfici: un libro tra due secoli) che ha visto lungo un mese tra novembre e dicembre avvicendarsi spettacoli, incontri, proiezioni, laboratori, confluendo nella sequenza finale: Canti Orfici/ Visioni, in scena al Teatro Studio con l’interpretazione di Michele Di Mauro, la musica alata, atmosferica e notturna di Gianni Maroccolo, le proiezioni dinamiche di Loris Giancola e la cura drammaturgica di Andrea Cortellessa, che ha operato sul testo campaniano seguendo indicazioni derivate dal poeta stesso, non in didascalia, tutt’altro, dai versi che recano il segno di un passaggio viscerale, frenetico, umano. Tuttavia, a ben guardare, tale omaggio non solo parte da lontano, da quella finestra a lungo raggio, ma non è una celebrazione, è viceversa un tradimento, una posizione scomoda di attraversamento molteplice di una materia chiamata Canti Orfici. Cauteruccio è artista che non ha mai immaginato il proprio teatro diversamente, ha iniziato con un classico come l’Eneide e ne ha fatto storia, ma quando trent’anni dopo ha deciso di riportarlo in scena l’ha fatto tradendo quella sua stessa opera. È questo quanto si chiede agli artisti, che sappiano fare il calco di un’impronta pigiandola oggi sul terreno che troverà il loro passo. Petere – chiedere, esigere, ma anche andare verso, in latino – non ripetere.

Canti orfici
Foto Stefano Ridolfi

Le parole, via di fuga e condanna del poeta, si stagliano disegnate su sculture glaciali slanciate verso l’alto, stalattiti enormi e silenziose, mute, a dilavare verso terra. «Mi persi», pronuncia Di Mauro che d’ora in avanti sarà il poeta, si perse alla ricerca di una Chimera natura, donna, amante, proiezione di sé mai davvero sagoma di quell’impronta, di sé stesso. Strade selvagge, la natura dispersa, figure di ninfe e fauni di una bellezza incontaminata appaiono sul fondale, sono esse il viaggio? In cui perdersi e trovarsi di nuovo? La salvezza cui non occorre dannazione? Solo il segno di un verso peregrino e crudo, carnale, la cui eco scompone le visioni naturali e ne fa continua rifrazione di paesaggio, lo rende dipinto che riluce sulle rocce ghiacciate e si scioglie, acqua gelida, per cui divampa la fiamma dell’ascolto. Le apparizioni maschili e femminili sono alle spalle del poeta, sono il suo canto, della loro visione è vittima e responsabile attraverso frammenti cadenzati, i versi. Campana non usa parole vaghe d’altri poeti, egli usa la concretezza battente, viscosa e ambigua, Di Mauro in abito bianco è straordinario nel raccogliere la sfida di un’interpretazione che non sia monologo ma dialogo con il mondo, la sua eccellenza è la vocalità e la qualità evocativa della presenza, vi mantiene una misura compita per togliere di mezzo il poeta e farsi colui che incarna e traspare la poesia. Soltanto allora egli avrà compiuto la forma per accogliere la voce che sembra venire dal poeta, come l’avesse ascoltato fino a quel momento, perché vi possa slanciare l’ultima visione, decisiva, e finalmente, come i folli senz’altra misura che il verso, «rompere la linea dell’orizzonte».

Simone Nebbia
Twitter @simone_nebbia

Teatro Studio Krypton, Scandicci – Dicembre 2014

CANTI ORFICI / VISIONI
regia Giancarlo Cauteruccio
con Michele Di Mauro
dramaturg Andrea Cortellessa
musiche originali Gianni Maroccolo
scene Paolo Calafiore
direttore degli allestimenti Loris Giancola
costumi Massimo Bevilacqua
e con Giorgio Coppone, Maria Luisa D’Introno, Giovanni Corsini, Matteo Tanganelli, Veronica Rivolta, Silvia Benvenuto, Emiliana Provenzale

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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