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Il Teatro Mediterraneo Occupato e A_merica: la Sicilia e il nuovo mondo

Il Teatro Mediterraneo Occupato ha ospitato A_merica di Francesco Romengo. Un racconto dello spazio e la recensione

 

a-merica
Foto Ufficio Stampa

Maturare un pensiero e costruirci o piuttosto ri-costruirci letteralmente attorno un luogo, così da restituire al termine anche la sua accezione di appropriazione, di conquista. L’arrivo al TMOTeatro Mediterraneo Occupato è un’esplorazione e l’impatto non è certo quello che ci si potrebbe immaginare al varco della soglia di uno spazio canonicamente e appositamente strutturato per accogliere teatro. Atmosfera berlinese, dice a ragione qualcuno tra un bicchiere di vino, una birra, l’ennesima sigaretta e qualche chiacchiera di presentazione (seguirà intervista con gli occupanti per chiarire i motivi dell’occupazione). Eppure all’interno di uno dei padiglioni della ex Fiera del Mediterraneo di Palermo il teatro sembra esserci arrivato, con tutti i vantaggi e gli svantaggi, con tutti i pregi e le difficoltà da fronteggiare, questi sì facilmente immaginabili. Incurante del freddo invernale che si insinua sibillino nelle ossa ha salito pochi gradini, imboccato la porta in ferro, si è intrattenuto nel foyer dove prende corpo progressivamente una piccola biblioteca, ha inarcato lo sguardo sulla sponda alta dei soffitti di cemento imbiancato, sorvolato i dipinti alle pareti (di Collettivo FX e NEMO’S), ha accarezzato i bancali che compongono il bancone del bar prima di superare la porta di una sala prove grande abbastanza da costruirci un campo da tennis e infine, giocando a campana sul pavimento a scacchi ripulito col raschietto mattonella dopo mattonella, ha superato la tenda rossa e deciso di abitare una platea a gradinate e la pedana di un palcoscenico senza impalcature, americane, graticcia né sipario.

È qui che in scena ritroviamo A_merica, scritto e diretto da Francesco Romengo e di cui tempo addietro avevamo avuto modo di vedere uno studio di venti minuti, ora risolto in un indubbio sviluppo. Un uomo su una sedia e la figura acerba ed energica di una ragazzina bionda, probabilmente un’orfana, coesistono nello stesso microcosmo: la narrazione si sviluppa attraverso il dialogo che scopre aspetti delle loro specificità individuali e di interazione con l’immaginario della vita di porto a fare da sfondo. Il vecchio marinaio Papà Buono – Gabriele Zummo – e Nina – un’Alessia Vaglica sorprendente per i suoi dodici anni – condividono come contraltare alla claustrofobia ridondante del quotidiano il miraggio di un altrove, la favola di una promessa, un’America personalissima e insieme tanto comune, consegnandoci il vagheggiamento di un viaggio oltre confini che per antitesi demarcano il lirismo di situazioni ordinarie. Nella dominanza di tinte tenui (dall’ocra al mattone) – ove spicca il rosso lucido di un palloncino –  pochi oggetti si prestano a commutare il movimento in gesti che quasi solfeggiano il procedere della performance. La struttura drammatica è inizialmente bipartita e vede avvicendarsi gli interventi degli unici due personaggi quasi come stanze chiuse, che portano a crescere il grado di azione e interazione dall’efficace ritmo drammaturgico, ove l’ironia arriva puntuale a recuperare qualche eccesso di sentimentalismo, scansando quasi sempre il rischio di melensaggine. Stesso rapporto di equilibrio vale per l’uso del linguaggio, che concilia con discrezione la cadenza di un siciliano sufficientemente realistico a un italiano più accessibile, nel chiaroscuro di incursioni musicali che centrano i momenti ma risentono di prevedibilità didascalica.

Creare dal nulla, o meglio creare sui resti, lasciar sorgere un’idea dall’abbandono, generare relazione in un tempio di dimenticanza, uno di quei posti depredati realmente e metaforicamente di una funzione, consacrati dall’incuria. Colonizzare, soppiantare la destinazione, convertire la vocazione di base: per riuscirci mirare al di là, circumnavigare anche le terre più impervie, attraversare gli abissi, verificare se e dove possa trovare residenza un modo ulteriore di guardare. Accorgersi che forse la partenza è già un bel pezzo di strada, visto che il Mediterraneo custodisce il proprio sogno d’America, visto che si può trovare dentro Palermo un po’ di Berlino.

Marianna Masselli
Twitter @Mari_Masselli

Visto al Teatro Mediterraneo Occupato, Palermo, dicembre 2014

A_MERICA
di Francesco Romengo
regia Francesco Romengo
con Gabriele Zummo, Alessia Vaglica

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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