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Paolo Rossi. Arlecchino di conseguenza

Paolo Rossi e il suo Arlecchino visto al Teatro Biondo di Palermo. Recensione

 

Foto Valeria Palermo
Foto Valeria Palermo

Al posto del vestito di pezze colorate, Paolo Rossi ha una giacca di post-it per il suo Arlecchino. Come osserveremmo anche dalla sua camminata – di cui vediamo la naturalezza nell’artificio di un incedere sbilenco – egli non è il saltimbanco delle iconografie settecentesche, non ricalca la maschera di Ferruccio Soleri diretto da Strehler, ma conserva ancora qualcosa per così dire di animalesco: gamba leggermente tesa, tic di mano, sedere in fuori, parlata impastata. Non lo è, ma potrebbe esser benissimo un personaggio qualsiasi: è questo che lo rende così vicino. Nel bel mezzo di una tournée che avrà il suo seguito anche durante il 2015, lo ritroviamo al Teatro Biondo di Palermo, assieme a un pubblico di abbonati che non ha fatto fatica ad apprezzare il taglio satirico del comico milanese d’adozione ma con le radici proprio in terra sicula.

Non delude la promessa di un arlecchino dei nostri tempi, come voleva per lui proprio uno dei fondatori del Piccolo, prendendo in prestito vecchi e nuovi pezzi del repertorio a cui ci ha abituato Rossi nella forma che gli è congeniale, vicina a certa stand-up comedy (che finge l’eterna messa in prova) e soprattutto al teatro-canzone. Del resto, in scena assieme a lui ci sono tre grandi musicisti, Emanuele dell’Aquila (autore anche dei brani originali), Alex Orciari e Stefano Bembi, in grado di spaziare dal Volo del Calabrone in chiave slava alle gare virtuosistiche su Knockin’on heaven’s door fino a I giardini di Marzo (cantata in sala da tutti), dalle canzoni di Gianmaria Testa fino al sempiterno omaggio a Jannacci-Fo di Ho visto un re, a chiusura spettacolo.

Foto Valeria Palermo
Foto Valeria Palermo

Davanti a un fondale dipinto che ha i colori e quel piglio surreale à la Chagall, cosa fa questo Arlecchino scalzo, di che parla, cosa sostituisce alla satira politica («non posso più fare parodia della parodia» dichiarava nell’intervista rilasciata ad Andrea Pocosgnich)? Il suo è un viaggio che prende a prestito la vena sardonica della prima tradizione, quella non ancora fissata nei lazzi goldoniani ma che fonda sull’improvvisazione di un canovaccio e la adatta alle situazioni della vita che diventano comiche probabilmente soltanto di conseguenza, il suo è un atteggiamento “sulfureo” che dichiara di “non aver padroni”, ma che al massimo trova dei compagni di strada con cui condividere l’avventura. La situazione personale e intima, vuoi legata alla morte (presenza fortissima) o ai rapporti di coppia, vuoi legata alla riabilitazione per l’abuso di alcol o legata al “dramma” del comico, costretto oramai a spacciare la propria arte anche in battesimi matrimoni e addii al nubilato, trova spazio in una condivisione più grande: Rossi fa suo il personaggio in bilico tra finzione e verità, tra autobiografia e arlecchinata; come certi clown rimescola le sue carte, le fa cadere, forse apposta forse no; gioca su quei “venti minuti di storia” e continuerà a ripeterli, per tutta la vita, al fine di migliorarli.

Viviana Raciti
Twitter @viviana_raciti

Visto al Teatro Biondo di Palermo, dicembre 2014

ARLECCHINO
di e con Paolo Rossi
e con Emanuele Dell’Aquila, Alex Orciari e Stefano Bembi
impianto scenico Paolo Rossi e Andrea Stanisci
musiche originali Emanuele Dell’Aquila
canzoni Gianmaria Testa
scritto da Paolo Rossi e Riccardo Piferi
produzione CRT Milano| Centro Ricerche Teatrali

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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