Io, Nessuno e Polifemo, lo spettacolo di Emma Dante andato in scena al Teatro Biondo. Recensione
Torneremo a Palermo e terremo conto, nonostante il tempo trascorso, del luogo, dei suoi spettatori, di quanto “giocare in casa” possa essere per un artista gravoso e semplice insieme, sostanzialmente complesso. Stesso discorso potrebbe valere allora per chi scrive, essendo difficilissimo distinguere con certezza quanti degli applausi del pubblico del Teatro Biondo in conclusione di Io, Nessuno e Polifemo-Intervista impossibile di Emma Dante siano tributo esclusivo alla messinscena e quanti siano invece attestazione di stima e gratitudine in senso ampio per una delle individualità creative e teatrali più pregevoli che la Sicilia sia riuscita negli ultimi anni a consegnare al panorama nazionale e internazionale.
Lo spettacolo, che ha debuttato mesi addietro al Teatro Olimpico di Vicenza inaugurando il sessantasettesimo ciclo di rappresentazioni classiche, nasce da Intervista impossibile a Polifemo, testo inserito all’interno della raccolta Corpo a Corpo pubblicata da Einaudi nel 2008. Molteplici i perni tematici: la riconsiderazione del mito e il ribaltamento della prospettiva narrativa; l’epopea contemporaneizzata come strumento del teatro per raccontare e ragionare su se stesso; la sperimentazione e delineazione dell’identità attraverso il linguaggio scenico ma anche attraverso l’utilizzo della lingua. Quasi integralmente un divertissement nella struttura, con affondi riflessivi e puntate di lirismo visivo, l’opera sceglie – tra musica, danza e parola – di condurre il racconto delle vicende legate al ciclope e a Odisseo capovolgendo la gerarchia tra personaggio principale e secondario, con l’intermediazione del dialogo o, come vuole il titolo, dell’intervista condotta dalla Dante in scena nei panni di se stessa. Il punto di vista cardinale diviene un inedito senso di turbamento, quasi di coercizione di Polifemo rispetto alla convivenza armonica con la natura, alla pace turbata della propria dimensione esistenziale che tuttavia non può prescindere dal definirsi nel riflesso mutuo e forzoso con l’eroe di Itaca. La rappresentazione si fa dunque concrezione traslata di una certa cecità dei giorni nostri, mentre l’epica si fa spunto metonimico del mestiere e del percorso dell’autrice con il topos della caverna a fungere da trait d’union.
Evidente, già solo a una prima impressione, il tentativo di sperimentare nuove vie di espressione che determinano un certo slittamento dei canoni rispetto a lavori indimenticati e indimenticabili come Vita mia, Carnezzeria, mPalermu tra gli altri, rispecchiando un percorso in costante declinazione, ampiamente attestato per altro negli anni dal confronto con la tragedia classica, il cinema, il melodramma. Qui partiture coreografiche e recitativo si intervallano in misura sostanzialmente proporzionale per momenti e numero di interpreti, stabiliscono congiunzioni che riescono a costruire un giusto equilibrio tra astrazione e riconoscibilità “didascalica”, beneficiando dell’ottimo tappeto sonoro demandato a Serena Ganci e intessuto dal vivo tra crescendo ritmico-armonici, diminuzioni da sottofondo e silenzi che lascino primeggiare il parlato. A restare impresse come le più incisive alla fruizione e alla sua memoria sono soprattutto le immagini dei quadri danzati, iconografia motoria spesso poetica e ideata con coscienza, in merito alla quale basterà segnalare fra tutte la sequenza della tela di Penelope. Più debole risulta invece l’aspetto drammaturgico connesso alla prosa in senso stretto: i rimandi a Carmelo Bene e poi la menzione di Eduardo, Fo, Testori, Raffaele Viviani, così come il riferimento alla stigmatizzazione dell’uso del dialetto ricevuta da un critico (crediamo di non andare errati pensando a Franco Cordelli) quale viatico per l’articolazione dell’idea sulla lingua teatrale adoperata, fondendosi alle presenze di Nessuno e Polifemo – in quanto entità sceniche, attoriali e filosofiche – decretano un assemblaggio privo della profondità in grado di scavare un cunicolo tra il palcoscenico e le nostre menti oltre e dopo la performance.
Fra gli applausi alla chiusura del sipario, pieni gli occhi di attimi di armonia visiva, ci rendiamo conto che a mancarci davvero stavolta è stato proprio il buio della caverna, una mano che suadente ci conducesse nei meandri del suo antro oscuro, sino alla reale, spaventosa, sibillina, avvolgente e necessaria necrosi della distinzione tra azioni e percezione, sino a quel senso di morte del quotidiano per cui il teatro da osservatori ci strappa alla distanza temperata e sicura della poltrona, superando in noi la cognizione dell’evento.
Marianna Masselli
Twitter @Mari_Masselli
Visto al Teatro Biondo di Palermo, Novembre 2014
IO, NESSUNO, POLIFEMO. INTERVISTA IMPOSSIBILE
testo e regia Emma Dante
con Emma Dante, Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola, Federica Aloisio, Giusi Vicari, Viola Carinci
musiche eseguite dal vivo Serena Ganci
costumi Emma Dante
scene Carmine Maringola
luci Cristian Zucaroùcoreografie Sandro Maria Campagna
assistente alla regia Daniela Gusmano