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Trend. Scena di atmosfere britanniche

Trend apre l’edizione numero XIII con Quietly di Marco Foschi e Paolo Mazzarelli

 

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Immagine Ufficio Stampa

Sappiamo riconoscere la drammaturgia britannica per alcuni caratteri molto ben definiti, o almeno capaci di tracciare linee di suggestione che provengano da luoghi, atmosfere e si traducano in azioni sceniche. Tali atmosfere compongono, tuttavia, più un immaginario che una reale coscienza dell’origine, dell’esperienza di una società ricca di paradossi e contraddizioni come quella cresciuta nell’isola più grande d’Europa, in cui si mescolano la tradizione cristallizzata di un’autorità reale, capace di esercitare un potere sì di coesione ma anche di supremazia su territori marginali e spesso riottosi, e la modernità centralizzata e contestata di un Paese come la Gran Bretagna “politica”, vocato all’alternanza decisionale e in continuo dibattito interno, culla di una mai troppo ben sviluppata e indagata via contemporanea al socialismo. Eppure la scrittura teatrale pare occuparsi molto più facilmente degli strati bassi della popolazione, invitando a percepirne lo stato di emarginazione, la solitudine, la povertà, l’inquietudine a volte violenta, esasperata, nata come un’erbaccia negli angoli della società.

La rassegna Trend, che al Teatro Belli di Roma si prefigge di individuare «Nuove frontiere della scena britannica» indagandone testi inediti freschi di traduzione, è da ormai tredici anni un’ottima sonda per misurare tale sviluppo sociale. I testi, scelti personalmente dal curatore Rodolfo di Giammarco durante frequenti sortite in territorio anglosassone, costituiscono un focus di particolare efficacia prima di tutto per la loro vocazione teatrale, ossia per la scelta originaria di farsi azione scenica e costringersi a ideare una forma di rappresentazione che tenda la situazione a farsi esemplare di una comunità. È in tali contesti che il teatro manifesta ancor meglio l’immediatezza con cui scomporre e ricomporre gli elementi di un’evoluzione culturale, presentando di fronte a uno sguardo direttamente coinvolto, vivo in platea, la fetta di mondo che si è scelto di esplorare.

Ci sarà tempo fino al 17 novembre 2014 per il confronto con una scrittura teatrale molto viva e con i topoi in cui essa ha saputo riconoscersi. Ancora un giorno per Eigengrau dell’autrice di Fucked, Penelope Skinner, tradotto in scena da Gabriele Di Luca e Bruno Fornasari di Carrozzeria Orfeo; si tratta di un racconto generazionale che sviluppa quel sottile segreto tra la solitudine e la vita di relazione, attraverso un fitto intrico di inganni. Seguirà The One di Vicky Jones con la regia di Roberto Di Maio (7-8), feroce sguardo sulla coppia, sulle relazioni crudamente eviscerate di sentimento e ricondotte a manifesta esibizione di corpi: un uomo, una donna. Bitch Boxer di Charlotte Josephine, con la regia di Ivan Alovisio, il 10 porterà sul palco del Belli un incontro di pugilato per sole donne e contemporaneamente sfida al mondo intorno, alla vita fin qui vissuta, alla propria condizione umana. Al londinese Philip Ridley è dedicata la settimana successiva (12-15) con Dark Vanilla Jungle, per la regia di Carlo Emilio Lerici, indagine delle ombre che si affastellano nell’orizzonte della natura umana, angoli in cui la psiche alimenta da sé stessa il proprio disagio. A chiudere sarà invece It-Wound-Killer-Now, movimento in quattro monologhi firmato ancora Philip Ridley e messo in scena da Luca Fiamenghi, viaggio nella solitudine attraverso quattro situazioni che ne declinano i risvolti morali e le implicazioni relazionali.

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Foto Ufficio Stampa

Quietly di Marco Foschi e Paolo Mazzarelli aveva aperto invece la rassegna, per la firma dell’autore ex contabile ex operaio di Belfast: Owen McCafferty. È il retro di un pub ad accogliere lo sguardo, un’atmosfera sospesa di fumo e resti di birra nell’aria, come fosse caduta al suolo in un tempo precedente e fosse rimasta come un velo a intridere il legno. Si avverte una tensione ombrosa, serale, come dovesse accadere qualcosa di violento da un momento all’altro. Siamo nell’Irlanda del Nord contemporanea: mentre Robert il barista polacco sta guardando un incontro di calcio alla tv tra la sua Polonia e l’Irlanda che lo ospita, in scena è solo il padrone del pub, Jimmy, che attende una visita importante. Bastano pochi minuti perché arrivi Ian, lentamente, va a prendere due pinte perché sa che parlare sarà più facile, ma nulla è facile quando si è stati autori di un terribile atto di violenza, molti anni prima, quando nel 1974 appena sedicenne, arruolato nel movimento nazionalista, si trovò a lanciare la bomba che distrusse quel pub, uccidendo sei uomini, tra i quali il padre di Jimmy. È stato in prigione, ora è qui per tornare sui passi di una possibile redenzione. Jimmy lo ascolta, l’ha atteso per molto tempo e non gli perdona nulla, né gli permette alcun movimento per interagire in una forma quasi nostalgica, cellula di una qualche lontana, residua familiarità dei destini. Ci sono fusti di birra, cassette di bottiglie, appesa al muro una bandiera irlandese. Nel mezzo, i due cercano un impossibile confronto, eppure pian piano sviluppano una sorta di senso comunitario, si accorgono di essere stati niente altro che due tasselli di un grande mosaico di guerra civile.

Il dialogo tra i due personaggi respira grazie alla presenza di due tra i migliori attori in circolazione, con una menzione per la capacità di Foschi di tenere Jimmy su un tono di disperata riconciliazione col mondo che l’ha umiliato, afflitto, senza gridare come invece il testo, non particolarmente originale e con numerose cavità drammaturgiche inespresse, poteva suggerire. Davvero «i fatti sono la verità», come si propone inizialmente il loro dialogo? Forse è più giusto dire, come accade poco dopo, che ci sono altre cose a comporre la verità, c’è la storia che trasforma gli elementi dei fatti e rende indietro il rimosso dell’esperienza. E c’è il teatro, in fondo a un profluvio di parole, primo fra tutte le arti alla ricerca di storie, di vite, interrotte.

Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia

Teatro Belli, Roma – Ottobre 2014

TREND [PROGRAMMA] nuove frontiere della scena britannica
XIII edizione
Direzione Artistica: Rodolfo di Giammarco
Organizzazione Generale: Carlo Emilio Lerici
Ufficio stampa: Paola Rotunno e Margherita Fusi
Direttore Tecnico: Loris Pioppo

Primo studio per
QUIETLY
di Owen McCafferty
traduzione Natalia di Giammarco
adattamento, messa in scena e interpreti Marco Foschi e Paolo Mazzarelli
disegno luci Luigi Biondi
produzione EMMEA’ TEATRO

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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