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Riforma Fus. Interviene Franco D’Ippolito

Riforma Fus: la riflessione di Franco D’Ippolito, attuale consulente per le politiche culturali alla Regione Puglia. Segui su Twitter #inchiestaFUS. Si tratta di vera riforma o di “maquillage”?

 

 

riforma Fus Franco D'IppolitoStiamo conducendo un’inchiesta sulla nuova legge che regola l’accesso ai contributi con la riforma Fus. Dopo l’articolo di Andrea Pocosgnich di attraversamento e riflessione stiamo chiedendo, ad alcuni artisti e operatori a nostra scelta, uno scritto o un video in cui emerga un parere sulla legge in relazione al lavoro e alle prerogative di ognuno. Gli interventi verranno pubblicati su TeatroeCritica.net a puntate al fine di creare un dibattito aperto ed eterogeneo sull’argomento. TeC

Franco D’Ippolito è attualmente consulente per l’attuazione delle politiche culturali e coordinatore della cabina di regia per i progetti strategici delle attività culturali della Regione Puglia.
È cresciuto professionalmente nell’ETI e poi al Piccolo Teatro di Milano. È statodirettore organizzativo del Teatro Metastasio-Stabile della Toscana e del Teatro Eliseo,direttore del Teatro Pubblico Pugliese e consulente organizzativo del Kismet di Bari, del Teatro delle Briciole di Parma, del CRT di Milano.
Ha insegnato “Organizzazione aziendale dello spettacolo” presso lo Stamms dell’Università di Lecce.Ha pubblicato presso Editoria & Spettacolo “Teoria e tecnica per l’organizzatore teatrale”.

Ho cercato sulla Treccani la parola “riforma”. È scritto: «Modificazione sostanziale attuata con metodo non violento di uno stato di cose, di un’istituzione, di un ordinamento; il termine è applicato per indicare innovazioni o mutamenti profondi nella vita dello Stato o della Chiesa attraverso l’azione legittima e regolare dei poteri costituiti». Allora credo non si possa parlare di “riforma” del FUS a proposito del nuovo decreto ministeriale, quanto, piuttosto, di aggiornamento normativo e di maquillage delle definizioni.

La conseguenza più immediata è valutabile in base all’angolo visuale con il quale questo decreto legge l’attuale sistema della musica, del teatro e della danza. Nel tentativo di introdurre norme di accesso e di valutazione innovative, al decreto sfugge la lettura e la comprensione di tante esperienze (di produzione, interdisciplinarietà, contratti di lavoro, relazioni sul territorio) che da anni hanno modificato, a volte radicalmente, il fare teatro in Italia. Più forte, evidentemente, l’esigenza di governare i dettagli. Molti in queste settimane hanno cercato di capire, con sconsolati risultati, come poter ricondurre agli articoli ministeriali la vivacità delle esperienze degli ultimi anni, i mutamenti introdotti nel proprio lavoro.

Potrebbe essere utile cogliere l’occasione offerta da TeatroeCritica per provare a immaginare a cosa dovrebbe ispirarsi una riforma del FUS, considerando le novità introdotte dal decreto e le zone grigie in cui sono rimastI molti degli obiettivi dichiarati nelle slide ministeriali (ve le ricordate?). Primo, una riforma dovrebbe basarsi su una visione ragionevole e lungimirante del sistema dello spettacolo dal vivo e che non può prescindere dalle Regioni, almeno finché queste continueranno a normare e saranno parte essenziale del finanziamento allo spettacolo.

Secondo, per riformare l’angolo visuale della normativa FUS bisognerebbe guardare a un sistema definito per funzioni e non solo per quantità e percentuali di attività. Credo che solo attraverso l’assegnazione di funzioni differenziate per storicità, dimensione, ambiti territoriali, responsabilità nei confronti delle altre funzioni del sistema, si possa leggere un sistema in movimento. Sarebbe una piccola rivoluzione copernicana spostare l’asse di osservazione, dalla quantità di attività alla responsabilità degli impegni e dei risultati.

Terzo,garantite le condizioni minime di accesso, la riforma dovrebbe riconoscere ampia libertà progettuale ai soggetti, senza ingabbiarli in griglie predeterminate ed introducendo verifiche e controlli ex post rigorosi. Mi pare evidente, per esempio la non ragionevolezza del decreto quando riconosce valore di “ambito” alla multidisciplinarietà, ma non dignità alla stessa quando è praticata dai soggetti dell’ambito musica, teatro e danza. Non sarebbe più coerente disciplinare gli ambiti per prevalenza di attività, lasciando poi i soggetti liberi di progettare, creare, realizzare?

Quarto, la riforma dovrebbe semplificare l’articolato, i parametri e le procedure: si definiscono le diverse funzioni; si specificano le responsabilità che i soggetti assumono nei confronti del resto del sistema; si limita a pochi parametri la valutazione dei risultati attesi e conseguiti; si introducono verifiche e controlli, al cui esito si premia chi ha assolto alle responsabilità e conseguito i risultati e si penalizza chi non lo ha fatto.

In ultimo, una riforma (secondo la definizione della Treccani) avrà bisogno della consapevolezza dello Stato, delle Regioni e di tutti i soggetti di «lasciar cadere vecchie abitudini e cambiare vecchi abiti» (queste parole non sono mie, le ho prese in prestito da Elena Bucci).

Franco D’Ippolito

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