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Ipercorpo 2014. Sguardi dal mondo su Forlì

Ipercorpo 2014. Seconda edizione per Italian Perfomance Platform

Ipercorpo
Foto Gianluca Naftalina Camporesi

Come accade a tutti i meccanismi di trasformazione energetica, siano essi sviluppo indipendente di strutture naturali o generati dall’ingegno umano, la forza prodotta proviene da un movimento oscillatorio che percorre direzioni anche in opposizione, purché ben chiaro sia il centro, ove cioè debba confluire l’energia rinnovata. Il lavoro profuso da chi tenta, come Claudio Angelini e Città di Ebla in una città come Forlì, di innestare pian piano processi di inserimento per esperienze teatrali fuori dal regime tradizionale, segue un po’ questa doppia direzione: da una parte stimolando il pubblico del Teatro Diego Fabbri con la stagione “contemporanea”, che permette loro di apprezzare su quel palco durante l’anno artisti di vocazione più sperimentale (in collaborazione con Masque Teatro), dall’altra tenendo fisso da ben undici edizioni il fulcro sul Festival Ipercorpo, al quarto anno nell’Ex Deposito ATR (qui in un progetto che vede la collaborazione di Spazi Indecisi e Romagna Creative District) e per la seconda edizione divenuto Italian Performance Platform, territorio di incontro e scambio tra gli artisti italiani e operatori stranieri provenienti da varie parti del mondo.

Ipercorpo ha modificato lungo il percorso di questi anni la sua offerta culturale, vincendo però la sfida di conservare quella vocazione al dibattito, alla relazione di settori stimolati a confrontarsi, darsi appuntamento in un vecchio deposito di bus. Questo per quanto riguarda il pubblico che continua ad affollare la sua sede, in occasione sia degli spettacoli che dei concerti ormai stabilmente nel programma. Ma la trasformazione in piattaforma internazionale (quest’anno gli operatori, scelti grazie alla di collaborazione con Mara Serina di Iagostudio, sono passati da otto a quattordici, provenienti per la maggior parte da Europa occidentale e orientale, con illustre rappresentanza coreana) è davvero un passo notevole e ha rappresentato un mutamento necessario non solo per la zona, che in tal modo si nobilita di una considerazione extraterritoriale, ma per l’Italia teatrale che ha con l’estero sempre meno contatti e in cui sono sempre meno frequenti reali momenti di scambio.

Ipercorpo
Foto Gianluca Naftalina Camporesi

Così alle serate di spettacolo fanno seguito incontri giornalieri di approfondimento, pensati affinché le compagnie si presentino per ascoltatori attenti a ciò che si muove nel teatro italiano o, meglio, al lavoro artistico dell’una o l’altra compagnia (tra queste anche altre fuori programma, scelte da Silvia Mei e presentate in formato “short” durante il pomeriggio del sabato). Eppure, questo grande ascolto reciproco, svela un possibile sviluppo futuro che saprebbe diventare determinante; infatti tutta l’attenzione di un nucleo ben disposto di operatori internazionali, riuniti in territorio artistico italiano contemporaneo, è un patrimonio molto grande e potrebbe diventare l’occasione anche qui per una doppia andatura, perché da un lato si inizia a manifestare la necessità di ascoltare dalla loro esperienza la bontà di sistemi e pratiche cui fare eventuale riferimento, dall’altro in una simile riunione si potrebbe reimpostare un dialogo anche dal punto di vista culturale più allargato, immaginando una formula capace di contemplare un focus di respiro critico, al fine di illustrare lo stato delle arti sceniche contemporanee in Italia.

Se questo è un nucleo di riflessione per la stagione prossima, a maggiormente caratterizzare Ipercorpo resta tutto ciò che accade nello spazio festival, un luogo immaginato perché ci sia il tempo del silenzio, dell’attesa, della condivisione; molti artisti, con cui si hanno in altri contesti rapporti fugaci e frettolosi saluti, come per miracolo innestano tra loro un dialogo e si scoprono simili come mai avevano pensato. Ecco allora che, nella Romagna tempio di una sperimentazione più visiva qui con gruppo nanou, Muta Imago, Opera o la stessa Città di Ebla, l’irrompere di un gruppo che affonda nella tradizione popolaresca il proprio teatro come i Sacchi di Sabbia di Giovanni Guerrieri fa credere ancora si possa ottenere, da semplice prossimità e partecipazione di luoghi vitali, un innesco imprevisto di nuova germinazione.

Come funziono. Recita lo slogan di quest’anno. Ipercorpo sta tracciando una linea nel silenzio di una provincia che inizia a farsi modello virtuoso, proprio al seguito di questa contaminazione di categorie artistiche oggi obsolete perché anacronistiche, legate a una concezione della società occidentale per nuclei da difendere, oggi che in contrario l’ascolto si presenta come unica strada contro il rischio di inaridire. Come funziona dunque? Non si può dire, si procede per spostamenti repentini e stasi improvvise, accenti ed elisioni, l’arte ha questa forma oscillatoria, un’approssimazione fluttuante di accessi e divieti, relazioni e solitudine, che funziona solo fino al punto di non svelare il meccanismo. L’arte, insomma, non ha libretti di istruzione.

Simone Nebbia
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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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